Ortega Day: Il Burrito schiacciato dal peso di un’eredità troppo ingombrante e dalla dipendenza dall’alcool

Ariel Ortega sarebbe potuto passare alla storia come uno dei funamboli argentini più forti e completi di sempre, ma durante la sua carriera ha pagato troppo la “responsabilità” dell’eredità di Maradona ed ha finito per esserne schiacciato. Rimangono comunque impressi nella mente degli amanti del calcio alcuni suoi colpi da maestro dalla classe infinita, realizzati sempre mantenendo quella postura così particolare da valergli l’appellativo di “Burrito”, ovvero asinello, fin da bambino

Già da piccolo incantava tutti con la palla al piede, si divertiva ad umiliare e saltare ripetutamente i bambini più grandi e si compiaceva sempre più ad ogni tunnel.
Giocare trequartista per Ortega era come una vocazione e già a 17 anni, dai quartieri di Ledesma, emergeva la sua stella luminosissima, tanto da attirare in fretta gli osservatori del River Plate, certi di avere scovato un grande fenomeno. 

Immediatamente Ortega diventa il nuovo idolo del Monumental, vince 3 campionati in appena 5 stagioni ed al fianco di calciatori del calibro di Almeyda e Crespo riesce nell’impresa di riportare a Buenos Aires la Coppa Libertadores, riaccendendo l’entusiasmo di un popolo che aspettava da anni questo momento e che aveva assistito alle gesta eroiche di un mito assoluto della storia del calcio mondiale, ma che però vestiva la maglia degli acerrimi nemici del Boca Juniors: Maradona

ortega

Adesso, pensavano al River Plate, “anche noi abbiamo il nostro Maradona“.
Se questo paragone così ingombrante all’inizio della carriera di Ortega lo ha stimolato e caricato, alla lunga ha finito però per essere la sua più grande croce, schiacciandolo ed intrappolandolo.

Il 1997 è l’anno in cui il Burrito accetta la corte del Valencia di Claudio Ranieri e decide di proseguire la sua carriera in Europa, dove nonostante il rapporto conflittuale con l’allenatore romano, che non sopporta l’insolenza ed il narcisismo di Ortega, riesce a collezionare 7 gol in 12 presenze, convincendo anche l’Argentina a puntare su di lui per il Mondiale in Francia del 2008. 

La spedizione francese potrebbe essere l’emblema della carriera di Ortega: durante un Argentina-Olanda, il fantasista sembra più concentrato ad irridere costantemente la difesa avversaria che a vincere la partita, pensando quasi esclusivamente a portare a termine dribbling e tunnel piuttosto che fare una giocata funzionale che possa però portare al gol
Il risultato fu una partita che si incattivì, con Staam che perse la pazienza e lo stese in area di rigore, con l’arbitro che non concesse la massima punizione e Ortega che si “ribellò” rifilando una testata al portiere Van Der Saar.
Inevitabile conseguenza il rosso diretto che spalancò all’Olanda le porte della semifinale. 

Questo episodio ha senza dubbio lasciato strascichi psicologici pesanti sulla mente di Ortega, che nella stagione successiva ha pagato dazio e non è riuscito praticamente mai a mettere in mostra il suo grandissimo potenziale, limitato da un atteggiamento poco corretto per uno sportivo e da una professionalità a dir poco discutibile, che lo ha portato a rifugiarsi nell’alcool troppo spesso, finendo per essere messo sul mercato senza neanche troppi rimpianti. 

La Sampdoria, ammaliata comunque dal suo talento, decide di puntare su di lui e lo acquista nel 1998 per ben 23 miliardi di lire. In blucerchiato sembra poter rinascere e tornare quel magnifico cigno dei tempi del River Plate, ma manca sempre qualcosa: infatti, Ortega alterna grandissime prestazioni ad altre in cui non entra praticamente mai in partita, ma quando il Burrito si accende lascia il segno veramente.
Dribbling entusiasmanti, punizioni pennellate e gol da cineteca rimarranno per sempre impressi nella mente dei tifosi blucerchiati che, però, nonostante una coppia d’attacco potenzialmente  tra le più forti e complete d’Italia come quella composta da Ortega e Montella, hanno dovuto vedere la loro squadra retrocedere incredibilmente. 

Il Burrito sembra sempre in procinto di esplodere e consacrarsi definitivamente ed il Parma del patron Callisto Tanzi decide di scommettere su di lui e concedergli un’altra grande possibilità. Ortega in Emilia ritrova Crespo e la coppia tutta argentina infiamma l’animo dei tifosi ducali, che ad inizio stagione sognano veramente di poter fare il salto di qualità e di godere del nuovo (vecchio) tandem d’attacco ricomposto nel Vecchio Continente dopo aver fatto fuoco e fiamme in Argentina. 

In realtà, a causa anche di alcuni problemi fisici che li hanno frenato nel momento forse più importante della sua carriera, Ortega riesce a disputare solamente 18 partite, di cui la maggior parte da subentrante, che gli fruttano appena 3 gol. Una delusione insostenibile per il fantasista argentino, che a 26 anni aveva ancora l’etichetta dell’eterna promessa, del giovane potenzialmente fortissimo, ma ancora acerbo e troppo scostante. Dopo il fallimento con la maglia del Parma il classe 1974 decide di tornare in patria, nella città che lo aveva lanciato nel grande calcio e che lo aveva amato come mai nessun altro al Mondo. 

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In Argentina Ortega sembra tornato quel calciatore meraviglioso di qualche anno prima, riconquista immediatamente tutti e in due stagioni segna 23 reti in 56 partite, riuscendo a vincere il torneo di Clausura e tornando in Nazionale, con l’Albiceleste che lo convoca per il Mondiale Nippo-Coreano del 2002. La pressione su di lui aumenta nuovamente e, inevitabilmente, torna per essere schiacciato dalle aspettative della gente, rifugiandosi ancora una volta nell’alcool. 

Ormai in Argentina non c’è più spazio per lui ed i media non parlano altro della sua dipendenza, costringendolo quasi ad andare in “esilio” ad Istanbul, dove ad accoglierlo c’è il Fenerbahce. Anche in questa sua avventura si può ben comprendere quanto libertino sia “l’Ortega-pensiero”, come quando viene convocato dalla Nazionale e decide di non far più ritorno in Turchia, venendo squalificato dalla UEFA, in quanto aveva firmato un contratto quadriennale non rispettandolo, che gli infligge anche una multa di 11 milioni di dollari. Dal contenzioso Ortega ne esce distrutto ed ancora più alcoolizzato e decide così di dare l’addio al calcio

Ma uno spirito libero come lui, non poteva terminare la sua carriera così, senza altri colpi di scena.
Infatti, nella stagione seguente arriva una chiamata che lo induce a tornare sui suoi passi: quella del Newell’s Old Boys.
Con la nuova maglia sembra poter vivere una seconda giovinezza e, come al solito, lontano dai riflettori e senza troppe pressioni addosso, torna ad esprimersi ad alti livelli, portando la squadra a vincere il torneo di Apertura nel 2004. 

Nel 2006 torna nuovamente a vestire la maglia del River Plate, ma ormai la sua integrità fisica e mentale è più che compromessa: poca lucidità, raramente sobrio e spesso insolente con l’allenatore, viene ceduto in prestito prima al Indipendiente Rivadavia e poi all’All Boys, per poi svincolarsi dal club con la retrocessione, finendo tristemente la sua carriera con la maglia poco prestigiosa del Defensores de Beltrano

Termina così il 9 agosto del 2012 la carriera di quello che avrebbe potuto essere ricordato come uno dei funamboli argentini più forti della storia, ma che non ha mai saputo reggere la pressione e prendere delle responsabilità, rifugiandosi invece nella sua arroganza e nell’alcoolismo, che ha distrutto fino all’ultimo brandello dello sportivo che rimaneva in Ortega. 

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