F1 2018 GP Russia, Analisi Gara – Hamilton mette in ghiaccio il Mondiale

A Sochi cala virtualmente il sipario sul Mondiale 2018. Lewis Hamilton conquista la 70.esima vittoria in carriera, la Mercedes porta a casa un’altra doppietta grazie al secondo posto di Valtteri Bottas, e volano rispettivamente a +50 e +53 su Sebastian Vettel e sulla Ferrari. Polemiche (soprattutto social) per il team order che ha costretto il finlandese a cedere la vittoria a Lewis, con un gran imbarazzo (ed ipocrisia) serpeggiante sia sul podio che all’interno del box Mercedes. La Ferrari ha fatto quel che ha potuto. Buona strategia, ma la macchina non era abbastanza competitiva per impensierire seriamente le Frecce d’Argento. Vettel è giunto amaramente 3°, mentre Kimi Raikkonen ha concluso 4° in solitaria. Il Driver of the day di Sochi, giustamente, è stato Max Verstappen, autore di un avvio al fulmicotone dalla 19° posizione, al comando per buona parte della gara, ed alla fine 5°, il massimo ottenibile, precedendo Daniel Ricciardo. Da sottolineare anche la gara di Charles Leclerc, 7° ed ultimo a pieni giri, mentre hanno concluso a punti anche Kevin Magnussen, Esteban Ocon e Sergio Perez.

Valtteri Bottas e Lewis Hamilton, sul podio di Sochi 2018 (foto da: twitter.com/MercedesAMGF1)

MERCEDES, DOPPIETTA E GODURIA HAMILTON. POLEMICHE PER L’ENNESIMO TEAM ORDER

Sulla pista dov’erano arrivati i primi due titoli Costruttori della sua storia (2014 e 2015), la Mercedes, e con lei Lewis Hamilton, mettono in cassaforte i titoli 2018, imponendo ancora una volta la loro legge sulle rive del Mar Nero (quinta vittoria su cinque per il team, terza per il britannico). Benché la gara abbia presentato qualche problematica in più del previsto, non si può nascondere il fatto che la W09 in quel di Sochi sia tornata a dominare, come mai visto quest’anno. Lewis Hamilton, dopo l’errore del sabato che gli ha impedito di ottenere l’ennesima pole, grazie anche ad un discusso ordine di scuderia (ne parleremo poco più avanti) mette nel carniere la sua vittoria #70, l’ottava di questo 2018, soprattutto la quinta nelle ultime sei gare, segno del dominio del pilota di Stevenage in questa seconda parte di campionato. Una striscia utile che l’ha portato ad avere 50 punti di margine su Sebastian Vettel (306 a 256); un gap che, con cinque gare da correre, può far partire il count-down del quinto titolo del pilota inglese.

La staccata di curva 2, subito dopo la partenza del Gran Premio di Russia 2018, con le due Mercedes quasi affiancate, seguite dalle due Ferrari (foto da: twitter.com/F1)

Ma passiamo alla gara di ieri. Sin dal via, i Mercedes danno un’altra prova di compattezza di squadra. Sebbene sia da capire quanto volontariamente, Bottas (bravissimo in qualifica, centrando la sesta pole in carriera), scattato benissimo dalla pole, si sposta tutto all’interno di curva 1, permettendo a Hamilton, nel frattempo affiancato all’esterno da un Vettel partito meglio, di sfruttare tutta la scia e di rintuzzare con facilità il tentativo d’attacco del ferrarista. Le prime fasi vedono Bottas tenere il comando, con un massimo di 1.6 secondi di vantaggio sul compagno di box, e con un Vettel bravo a non perdere contatto. Forse per provare a trarre in inganno (ancora una volta) il muretto ferrarista, al termine del giro 11 (quindi con almeno 4-5 giri d’anticipo rispetto alle previsioni), Bottas viene richiamato ai box per passare dalle Ultrasoft alle Soft. Passato al comando, Lewis prova a spingere, ma la Mercedes presta il fianco al tentativo di undercut da parte di Vettel.

Il ferrarista rientra al giro 13, imitato giocoforza al passaggio seguente da Hamilton. Vettel si produce in un giro di rientro velocissimo rispetto alla concorrenza (1:57.762 il ferrarista, 1:58.780 Valtteri, addirittura 1:59.661 Lewis) e, nonostante si ritrovi molto vicino al finlandese (autore di un primo giro completo a gomme nuove non eccezionale), riesce a mettersi dietro il rivale. La gioia per i ferraristi, però, dura pochissimo. Già nella tornata seguente (giro 15), Hamilton prende la scia nella prima zona DRS, non riuscendo nel sorpasso solo grazie ad una manovra difensiva molto dura (ma legale, nonostante l’under investigation dei commissari); Lewis, però, non molla e, andando tutto all’esterno in curva 4, riesce poi ad infilare Vettel nella successiva curva 5, non lasciandogli scampo. In tutto ciò, dopo quattro giri con Raikkonen in P1, davanti a tutti c’è Max Verstappen, su mescola Soft sin dal via. L’atteso team order di Toto Wolff si concretizza al giro 25, con Bottas che viene fatto rallentare in una curva specifica (la 14), lasciando strada a Hamilton. Il tutto seguito da un team radio, diciamo discutibile: “Valtteri, è James (Vowles). Corriamo un rischio con Lewis nei confronti di Vettel. Lewis ha un pò di blister all’anteriore sinistra“.

Giro 25: obbedendo all’ennesimo ordine di scuderia, Valtteri Bottas rallenta e si lascia superare da Lewis Hamilton (foto da: youtube.com)

La gara prosegue senza particolari sussulti. Verstappen tiene un ottimo ritmo, tanto che Lewis più di tanto non si avvicina (evidentemente anche per scelta, aspettando il pit dell’olandese), mentre Bottas, rimasto nei paraggi, non ha difficoltà di sorta nel tener dietro Vettel. Lewis prova a rompere gli indugi ad inizio 41° giro, buttandosi all’interno di curva 2; la chiusura decisa di Max, però, lo induce a desistere. Tanto più che, due tornate dopo, il pilota Red Bull effettua finalmente il pit, lasciando il comando delle operazioni a Lewis. Gli ultimi chilometri vivono tutti sulla pantomima del se Hamilton, con Vettel ormai staccato, restituirà o meno posizione e vittoria a Bottas. Ovviamente (e com’è giusto che sia), ciò non accade, e Lewis taglia il traguardo da vincitore davanti all’arrabbiato compagno di box. Il clima nel post gara è a dir poco imbarazzato e glaciale, vivendosi una sorta di Austria 2002 2.0 quando l’inglese, sul podio, prima invita Valtteri a fargli compagnia sul gradino più alto, poi prova a passargli la coppa del vincitore, beccandosi un cortese rifiuto da parte sua.

IL TEAM ORDER DELLA DISCORDIA

Ed eccoci al tanto criticato ordine di scuderia. A mio modo di vedere, bisogna partire da tre punti fermi in proposito: 1) per quanto eticamente e sportivamente discutibile, la Mercedes non ha violato alcuna regola; 2) in Formula 1 conta portare a casa il massimo risultato; 3) i team order esistono sin dagli albori di questo sport, ed è semplicemente utopistico pensare di vietarli (inutile il tentativo tra il 2003 ed il 2010) o di regolamentarli. Nel caso di specie, cosa si vuol criticare della Mercedes? Il voler massimizzare il tutto per chiudere il prima possibile il discorso iridato? Dai, non diciamo stronzate. La Mercedes è il team più forte anche e soprattutto per una fortissima unità di intenti, che pervade tutta la struttura (a differenza della Ferrari…). Memori del clima pesantissimo vissuto nelle annate del dualismo Hamilton-Rosberg, e non correndo in pratica più da soli in pista, Wolff&company hanno deciso di eliminare alla radice eventuali questioni, ingaggiando un pilota come Valtteri Bottas, ligio alla causa e al proprio capitano.

Il momento nel quale Toto Wolff ordina a Valtteri Bottas di lasciar passare Lewis Hamilton (foto da: twitter.com/F1)

In questi due anni (e soprattutto in questo 2018), Bottas ne ha subite un bel pò, compresi i ben più fastidiosi (per me) ordini di rallentare apposta i rivali per rovinargli la gara e favorire Lewis. Il problema di fondo di quel che è successo ieri a Sochi, da quel che ho capito, è stato l’ambiguità del muretto Mercedes che, al momento di ordinare lo scambio di posizioni (o poco più in là) deve aver fatto intendere a Valtteri che, nel finale e nel caso (poi verificatosi) che Seb non fosse più stato un problema, Lewis gli avrebbe restituito la posizione. Come altro si vuole intendere quella domanda nel finale di gara, “Ragazzi, come chiudiamo la gara”? Troppo ingenuo lui? Ragionando per ideali, Mercedes poteva tranquillamente lasciare la vittoria a Bottas; tanto, vista la situazione generale, che differenza c’era tra tre e dieci punti guadagnati da Lewis? In maniera più concreta, però, il discorso cambia. Sebbene Wolff giustifichi il tutto goffamente (rimediare all’errore di strategia con Lewis), ha assolutamente ragione quando dice sarebbe stato da autolesionisti non massimizzare il guadagno sul ferrarista. Come è avvenuto nelle ultime due gare, (per quanto ci creda poco) nulla toglie che la situazione potrebbe ribaltarsi nuovamente e, con un eventuale ritiro di Lewis, il discorso potrebbe riaprirsi nuovamente. Alla fine della fiera, tutte queste critiche hanno un bel fondo di ipocrisia…

FERRARI, THIS IS THE END! VETTEL CI PROVA, MA NON BASTA

E’ finita. Il Gran Premio di Russia fa calare mestamente il sipario sui sogni iridati di Maranello e di Sebastian Vettel. Troppi i 50 punti di ritardo da un Lewis Hamilton al suo massimo; troppi i 53 punti su una Mercedes cinica e spietata, e soprattutto con un team persosi all’improvviso, sul più bello (ancora una volta, verrebbe da dire). Eppure, nonostante le premesse catastrofiche di un weekend nato male, il Cavallino non ha eccessivamente sfigurato; semplicemente non ne aveva per impensierire abbastanza i fortissimi rivali. Sebastian Vettel, al 10° podio stagionale, ha tenuto quasi per tutta la gara un ritmo praticamente alla pari con i Mercedes; Kimi Raikkonen, 4°, ha disputato una gara tranquilla e con un buon passo, seppur lontano da qualsiasi battaglia al di fuori della partenza.

Sebastian Vettel mostra il trofeo del 3° classificato sul podio di Sochi (foto da: twitter.com/ScuderiaFerrari)

Per dire, ieri il muretto Ferrari è stato perfetto nella strategia, nello sfruttare lo sbaglio dei rivali, che hanno prestato il fianco fin troppo allegramente. Ma l’illusione (tale è stata) è durata davvero pochissimo. Dopo un out lap velocissimo (vedi sopra), Vettel ha dovuto subire un doloroso sorpasso da Hamilton in curva 5, subito dopo averlo chiuso in curva 2. L’idea, a caldo, è stata quella di un Sebastian un pò troppo molle, quasi sorpreso (come poi ammesso dal diretto interessato); nel post gara, però, si è fatta strada la teoria (sostenuta in primis da Roberto Chinchero) di un Vettel pressoché impossibilitato a difendersi a causa di una batteria scaricata nell’out lap e non ancora ricaricata, per via della presenza ravvicinata di Bottas. Comunque, a parte ciò, la sensazione è che se Seb fosse riuscito a chiudere nuovamente la porta al rivale, il sorpasso sarebbe stato rinviato solo di qualche giro. In primis perché sul dritto la Mercedes ne aveva di più; poi perché non bisogna escludere il possibilissimo tappo al quale sarebbe stato chiamato Bottas, che avrebbe consentito a Hamilton di restare negli scarichi del ferrarista.

D’altronde, Vettel è poi riuscito a lungo a rimanere vicino al finlandese ma, quelle rare volte che è riuscito ad azionare il DRS, guadagnava una miseria (2-3 decimi). Sintomo di una superiorità motoristica dell’avversario, ma anche di una Ferrari che, per ovviare ai gravi problemi di trazione venuti fuori nelle ultime due uscite (soprattutto nel T3 di Sochi), abbia caricato maggiormente le ali, a tutto svantaggio della velocità di punta (in salsa 2017 insomma). Nel finale, poi, il difficile doppiaggio di Magnussen (altro aspetto nel quale la Ferrari pecca… Avete mai visto una Force India bloccare così una Mercedes?) ai -5 dalla fine ha messo fine definitivamente ad ogni velleità. Un risultato, come detto, inutile, che certifica concretamente un altro anno senza titoli a Maranello, lo svanire doloroso delle speranze, rinfocolate un’ultima volta con la vittoria di forza a Spa e con la prima fila di Monza.

Sebastian Vettel prova (inutilmente) ad affiancare Lewis Hamilton, subito dopo lo start della gara di ieri (foto da: youtube.com)

Il brusco risveglio ha portato, come a Singapore, una marea di critiche, che colpiscono stavolta il team. Dopo aver gettato dalla finestra tanti punti tra qualche errore di troppo di Vettel e del muretto, con non poche strategie sbagliate, adesso si punta il dito sul classico ‘plafonamento’ che la Rossa subisce da anni con il giungere dell’autunno. Un passo del gambero tanto più doloroso se verificatosi in annate nelle quali ci si gioca il Mondiale. Problemi di sviluppo (fermo o che ha seguito direzioni errate) che, uniti invece alla ‘vitalità’ degli avversari, finisce puntualmente col segare le gambe al Cavallino. Il tutto, unito alla prematura scomparsa di un Capo con la C maiuscola come Sergio Marchionne, ha portato all’ennesimo sogno svanito. Non è un mistero che tutto l’ambiente abbia subito il colpo della morte del manager abruzzese, e la ridicola gestione del rinnovo/non rinnovo di Raikkonen (con tutte le conseguenze ‘ammirate’ in quel di Monza) sta lì a dimostrarlo.

Tornando però alla questione ‘sviluppo della monoposto’, io non la farei tanto semplice. Mi spiego meglio. A mio modesto avviso, questa inversione di tendenza nella competitività della SF71-H ha del clamoroso e, per molti versi, dell’inspiegabile. Com’è possibile che una monoposto così competitiva, che alla peggio durante l’anno si è trovata alla pari (o un filo dietro) con la W09, alla meglio leggermente avanti (non dominante come più di qualcuno ha voluto far credere), all’improvviso fatichi così tanto? Com’è possibile che i suoi indiscussi punti di forza (trazione e gestione degli pneumatici) siano di punto in bianco diventati delle debolezze? Com’è possibile che una monoposto capace di girare con ali scariche grazie al combinato disposto di una power unit finalmente all’altezza di quella di Brixworth e di un corpo vettura capace di creare carico aerodinamico di altissimo livello, di botto debba tornare ad una situazione come quella del 2017?

Badate bene, il mio non vuol essere complottismo di bassa lega; semplicemente ci sono troppe cose che non mi tornano. Il rischiare soluzioni di sviluppo ardite, che nella peggiore delle ipotesi possono portarti completamente fuori strada, è uno scenario ipotizzabile quando ti trovi a dover inseguire. Porto l’esempio dello scorso anno, quando le carenze del propulsore (già ottimo ma ancora non a livello di quello Mercedes) produssero una spec-4 azzardata e carente in affidabilità, provocando quel che ben ricordiamo tra Sepang e Suzuka. Tornando al presente, per quale motivo, in ipotesi, Binotto e tutto il resto del team avrebbero dovuto stravolgere un progetto che era stato validissimo praticamente fino a Monza? Non credo siano tutti impazziti, anche perché tra Singapore e Sochi, se si escludono modifiche di dettaglio (ala anteriore e turning vanes soprattutto) date dalla natura dei circuiti e un fondo leggermente modificato, non è che siano arrivati pacchetti corposi di novità.

Gara anonima (non per demeriti propri, sinceramente) per Kimi Raikkonen a Sochi. Il finlandese ha concluso al 4° posto (foto da: twitter.com/ScuderiaFerrari)

La stessa Mercedes, come ammesso da Wolff, ha lavorato (bene, va riconosciuto) affinando il progetto attuale, soprattutto al posteriore. A maggior ragione, considerando tutto ciò, non riesco a capire come, nell’arco di due gare (sebbene con circuiti dalla natura estremamente diversa), la Mercedes abbia potuto aprire un gap che, nelle considerazioni degli addetti ai lavori, soprattutto in qualifica è quantificabile ALMENO sul mezzo secondo. Un’enormità, poco da dire. Dalla sera alla mattina, una monoposto che beccava dai 3 ai 5 decimi solo nel tratto che a Spa comprendeva il Bus Stop e la Source, si ritrova a darne altrettanti nel T3 di Sochi alla rivale diretta, con avvisaglie pesanti già a Singapore. Una situazione stravolta, che mi induce a pensare che sia stato più netto l’arretramento Ferrari che non il passo in avanti Mercedes.

I rumors del paddock vanno presi con le pinze, sia chiaro. Ma sono anche indicativi di una situazione che, sarebbe assurdo negarlo, vede il team anglo-tedesco fare il bello ed il cattivo tempo dal punto di vista politico, soprattutto (e nuovamente) dopo il dramma di Sergio Marchionne. E’ arcinota la ‘morbosa’ attenzione di Whiting, Bauer e gli altri uomini FIA per tutto quello che riguarda la Ferrari, nonostante le ripetute dichiarazioni di ‘legalità’ dei sistemi di Maranello, soprattutto in termini di consumo dell’olio (ricordate le famose ‘fumate’, viste anche su Haas e Sauber?) e sistema di recupero d’energia tramite il sistema delle batterie (la Mercedes accusava la Ferrari di usare più dei 4 megajoule consentiti). Nel paddock è forte la sensazione che la FIA, pur non scoprendosi pubblicamente, abbia spinto gli uomini di Maranello ad intervenire, per così dire, in maniera più conservativa. Freschissimi, poi, sono i rumors (riportati da Giorgio Piola) su una soluzione border line trovata dalla Mercedes con la sospensione posteriore, che li avrebbe aiutati tanto nel loro salto di prestazioni. E’ il mio pensiero, liberissimi tutti di pensare l’opposto (e anche di criticarmi). Ma credo sia troppo semplice massacrare la Ferrari, così come inneggiare ancora una volta alla perfezione anglo-teutonica. 

RED BULL, E’ VERSTAPPEN SHOW A SOCHI

Un un weekend segnato dalle penalità provocate dall’ennesimo cambio di power unit, con la spec-3 della Renault abbandonata in favore nuovamente della spec-2, la Red Bull ha comunque tratto dei sorrisi dal Gran Premio di Russia, anche se solo con Max Verstappen. L’olandese è stato eletto Driver of the Day, in particolare grazie ad un avvio di gara al fulmicotone. Scattato dalla 19° casella sulla griglia di partenza, Max ha cominciato sin dai primi metri a disfarsi con grinta ed efficacia di chiunque gli si parasse davanti. Già 13° a fine primo giro, all’inizio della 3° tornata Verstappen è entrato in zona punti; quindi, saltati nell’ordine Grosjean, Perez, Ocon e Magnussen, al giro 6 la Red Bull #33 si trova 6°. Il grosso della rimonta si è completato due giri dopo, con il sorpasso ai danni di Leclerc. Il ritmo con le Soft è molto buono e, una volta effettuate le soste da parte dei primi, Verstappen si ritrova anche in testa (giro 19). La sua leadership dura 24 giri, fino al pit obbligatorio e non prima di aver rintuzzato con energia (ma correttamente) un tentativo di Hamilton. Una volta montate le Ultrasoft, visto il gap da Raikkonen, in Red Bull decidono di preservare la power unit, accontentandosi della 5° posizione. Gara ancora una volta complicata per Daniel Ricciardo. Un detrito ha danneggiato la sua ala anteriore nel corso del primo giro, rendendo meno fluida del previsto la sua rimonta dalla 18° posizione di partenza; una risalita, quella dell’australiano, terminata in 6° posizione.

Max Verstappen, eletto Driver of the Day del Gran Premio di Russia 2018 (foto da: twitter.com/F1)

GLI ALTRI: LECLERC IN EVIDENZA. A PUNTI MAGNUSSEN E LE FORCE INDIA

A guadagnarsi i riflettori è stato anche un ottimo Charles Leclerc, autore davvero di un’ottima prestazione sulle rive del Mar Nero. Il monegasco, promesso ferrarista, ha concluso la gara in 7° posizione, primo degli altri e ultimo tra i piloti a pieni giri. Charles si è distinto per un gran sorpasso tra curva 4 e 5 ai danni di Kevin Magnussen durante il 2° giro, tenendo poi con autorevolezza la posizione fino all’arrivo, con 17 secondi sul primo inseguitore e ben un minuto sul compagno di box. Haas a punti grazie a Kevin Magnussen che, con l’8° posto ottenuto, permette al team statunitense di accorciare a -11 dalla Renault. Un Magnussen, però, che continua a far discutere, soprattutto a causa di un pericoloso doppio cambio di traiettoria in frenata di curva 2, con il quale ha resistito ad un attacco di Esteban Ocon, passandola liscia con i commissari.

Charles Leclerc attacca Kevin Magnussen, all’esterno di curva 4 nel corso del secondo giro del Gran Premio di Russia (foto da: twitter.com/SauberF1Team)

Alle spalle del danese, a concludere la zona punti, si sono piazzate le due Racing Point Force India, con Ocon davanti a Sergio Perez. Anche i due del team di Silverstone sono stati protagonisti di un gioco di squadra, quando al francese è stato chiesto di lasciar passare il messicano, in quella fase più rapido, per andare all’attacco di Magnussen, salvo poi restituirgli la posizione nel finale. Subito fuori dalla top-10, Romain Grosjean, primo a fermarsi tra i piloti con le Hypersoft (giro 8), giunto davanti a Nico Hulkenberg (12°), con una Renault in grossa difficoltà a Sochi, come testimonia anche il 17° posto di Carlos Sainz, ad addirittura due giri dal primo. Weekend avaro di soddisfazioni anche per Marcus Ericsson (13°), per le McLaren di Fernando Alonso (14°) e di Stoffel Vandoorne (16°) e per le Williams di Lance Stroll (15°) e di Sergey Sirotkin (18°). Gara nera per la Toro Rosso. Entrambi i piloti si sono ritirati nelle prime fasi (Pierre Gasly al 3° giro, Brendon Hartley al 5°) per guasti ai freni; Gasly, inoltre, ha vissuto una brutta disavventura nei primi metri, quando un detrito della Red Bull di Ricciardo è passato sotto l’Halo e l’ha colpito sulla visiera del casco.

La Haas di Kevin Magnussen precede le due Force India di Sergio Perez ed Esteban Ocon, durante la gara di ieri a Sochi (foto da: twitter.com/F1)

La Formula 1 tornerà in pista già nel prossimo weekend con il Gran Premio del Giappone, sullo storico e bellissimo circuito di Suzuka.

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