Walter Sabatini e l’addio alla Roma, fine di un’era tra plusvalenze e ‘zeru tituli’

Ha lasciato anche l’ultimo superstite della prima Roma americana, il controverso ma allo stesso tempo unico per i suoi metodi comunicativi e per la sua capacità di affrontare sempre a viso aperto situazioni scomode non soltanto davanti ai giornalisti, Walter Sabatini. Ha lasciato dopo cinque anni costellati da alti e bassi, con una serie innumerevole di plusvalenze e affari che però non sono state direttamente proporzionali alle vittorie sul campo, dato che la Roma ha sempre vissuto stagioni da protagonista, con due secondi posti e un terzo se escludiamo le prime due annate disastrose, ma non è riuscita ad alzare neppure un trofeo.

sabatiniUn rapporto, quello con il presidente Pallotta, inizialmente idilliaco ma che ha cominciato a scricchiolare ben presto, forse in maniera irreversibile con la vicenda Garcia che il ds difendeva a spada tratta nella speranza di arrivare a fine stagione (la scorsa) per tentare l’approccio con un profilo di tecnico diverso (Conte?) ma che è stato di fatto scavalcato dalla pressioni del resto della dirigenza che invece spingevano per l’esonero immediato dell’allenatore francese con conseguente ritorno a Trigoria di Luciano Spalletti. Si era già visto respingere le dimissioni avanzate lo scorso febbraio Sabatini ma ieri il rapporto si è sciolto consensualmente ed in maniera definitiva con tanto di passaggio di consegna (provvisorio?) al suo braccio destro Frederic Massara

Colpi importanti comunque sono stati messi a segno eccome in questo quinquennio: sarebbe ingiusto e assolutamente falso affermare il contrario, come sarebbe falso affermare che Sabatini non abbia dato tutto per la Roma da gran professionista qual’è. L’operazione che forse maggiormente lo rappresenta è quella di Marquinhos, difensore semisconosciuto prelevato in Brasile per una manciata di euro e rivenduto (a malincuore forse perchè avrebbe rappresentato il punto fermo della retroguardia giallorossa per molto tempo) a più di 30 milioni agli sceicchi del Paris Saint-Germain.

Lo stesso Lamela, pallino del ds acquistato dal River Plate con la certezza che quel sinistro educato avrebbe fatto innamorare la Curva Sud per almeno un decennio, è stato il suo più grande cruccio perchè vederlo andar via per esigenze di bilancio e di plusvalenza ha interrotto quel processo di crescita del ragazzo iniziato con Luis Enrique e proseguito in maniera brillante con Zdenek Zeman in panchina. Come dimenticare poi i vari Benatia, Pjanic, Maicon, Manolas, Nainggolan e Strootman (il cui valore forse sarebbe esploso a dismisura se non avesse passato due anni nelle infermeria dell’Olanda), giocatori di straordinaria qualità che hanno fatto in ogni caso le fortune della Roma degli ultimi anni.

Giusto ricordare anche i flop, quelli che hanno incrinato soprattutto i rapporti con tifosi romanisti, la cui passione e amore per la propria squadra non è in alcun modo negabile anche se magari si rendono protagonisti spesso di giudizi troppo affrettati nei confronti di calciatori non ancora perfettamente a proprio agio in un ambiente così complesso e pieno di aspettative come quello romano.

Non hanno reso quanto ci si aspettava comunque, e questo è un dato oggettivo, i vari Iturbe, strappato alla Juventus con aspettative top, calciatori inadeguati come Kjaer, Josè Angel, Goicoechea, Bojan Krkic e Maarten Stekelenburg, vecchie glorie o presunte tali come Ashley Cole e Michel Bastos. Non è riuscita poi la valorizzazione di giovani promesse come Jedvaj e Ucan mentre ci si chiede come sia stato possibile una diaspora così totale di alcuni ragazzi della Primavera, Politano, Caprari, Verre e compagnia (con l’esclusione di Romagnoli e Bertolacci, venduti a peso d’oro al Milan) i quali oggi, in una rosa che in Europa non arriva neppure alla soglia massima stabilita dalla Uefa di 25, avrebbero fatto comodo eccome. 

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