L’ex terzino di Reggina e Ascoli, da quando ha appeso gli scarpini al chiodo ha intrapreso la carriera d’allenatore, dedicando gran parte del suo lavoro al settore giovanile, dove nel 2008 riuscì nell’impresa storica di far vincere il primo scudetto Primavera al Palermo. Rosario Pergolizzi, è un perfetto esempio di come si lavora nei settori giovanili, riuscendo a formare e valorizzare tanti ragazzi che poi si sono lanciati verso il calcio professionistico. A Rosario abbiamo chiesto, che idea si è fatto su questo momento difficile che il calcio italiano sta attraversando, specie dopo la mancata qualificazione della Nazionale azzurra al mondiale. Secondo Pergolizzi,servirebbe più meritocrazia soprattutto per poter allenare a livello giovanile, perché lavorare con i giovani è una cosa seria, riguardo invece la disfatta degli Azzurri contro la Svezia, è il risultato di ciò che si è seminato in questi anni. L’ex tecnico campione d’Italia Primavera, già trova sbagliato il fatto che si pensi solo al nuovo successore del ct Ventura e non a cambiare questo sistema calcio.
Ciao Rosario, tu che hai fatto grandi cose da tecnico nel settore giovanile, dopo questa disfatta della nostra Nazionale, confermando per l’ennesima volta la crisi del nostro calcio. Secondo te, a questo punto non sarebbe ora di puntare seriamente sui settori giovanili ?
“Dopo la mancata qualificazione della nostra Nazionale, tutti dicono che bisogna ripartire da zero, ma invece sento soltanto parlare del toto allenatore, senza riflettere sul perché siamo arrivati fino a questo punto. La Federcalcio ogni anno sforna tanti allenatori, senza preoccuparsi di migliorarli e farli crescere, anche chi non ha mai giocato, quando basterebbe affiancargli dei tecnici che hanno fatto esperienza sul campo, inoltre tutelare i professionisti, assicurandogli un guadagno dignitoso per vivere. Sarebbe bene ridurre anche il numero di giocatori stranieri nelle formazioni Primavera. Lavorare con i giovani è una cose seria, è come quando allevi un agnellino di cui ti prendi cura fino a quando cresce”.
Non pensi che l’eccessivo numero di giocatori stranieri presenti nelle formazioni Primavera, possa essere dovuto alla mancanza di motivazioni da parte dei nostri giovani, i quali di conseguenza sono meno disposti al sacrificio ?
“Il fatto è che si punta sugli stranieri per un fattore di guadagno, ad esempio su dieci di loro ce ne sono buoni soltanto due e li puoi rivendere molto di più rispetto a quanto l’hai comprati, mentre l’italiano richiede più tempo e non ti porta alcuna entrata, vengono poi fatti giocare tra i pro solo perché alle società lo impone un regolamento e non perché sono pronti o lo meritano. Quando giocavo io invece andavi avanti se lo meritavi sul campo, in caso contrario restavi fuori, oggi purtroppo non è più così. Ora hanno aperto queste scuole d’addestramento a livello regionale, senza sapere questi ragazzi da chi sono allenati e soprattutto se sono qualificati per lavorare con i giovani, bisogna dunque mettere delle regole se vogliamo migliorare le cose nel nostro calcio. Ai miei tempi ,ognuno all’interno di una società faceva il proprio ruolo, oggi non è più così, quindi non stiamo seminando nulla. Il calcio italiano in questo momento è sotto zero, per non parlare dei campionati che andrebbero riformarti, come ad esempio quello di Serie C, dove ci sono quelle 3-4 squadre che riescono ad andare avanti mentre le altre non riescono a sopravvivere, infatti ogni anno assistiamo a tante situazioni, quindi bisogna mettere dei limiti a tutto”.
Credi che l’inserimenti degli agenti anche nei settori giovanili possano aver contribuito a danneggiare il calcio italiano ?
“Un allenatore è condizionato a lavorare, perché un ragazzino a 12 anni ha già il procuratore e quindi deve giocare per forza, ma dove stiamo arrivando. Quando ero nel settore giovanile del Palermo, abbiamo vinto uno scudetto Primavera sorprendendo tutti, ma ci siamo riusciti perché eravamo uniti. Nei miei quattro anni al Palermo, siamo riusciti a sfornare 30-40 giocatori spendendo solo 400-500 mila euro, poi si è diventati famosi, c’è stato l’inserimento dei procuratori, si sono spesi 7 milioni di euro e i risultati sono stati negativi. Se si vuole fare qualcosa bisogna programmare, poi per fortuna ci sono società come l’Atalanta che sono un esempio da seguire, già nella stagione 90-91 quando io giocavo ad Ascoli, loro avevano i convitti dove vivevano i ragazzi delle giovanili e li formavano come uomini e calciatori. Ora se ti permetti a rimproverare un ragazzino, chiamano il procuratore o la società ti mette in discussione perché sei troppo severo, perciò non ci sono regole, quindi la mancata qualificazione ai mondiali, ribadisco è il risultato di quello che abbiamo seminato. Io anche ho avuto il procuratore, tra A e B avevo la possibilità di giocare su tutte le 40 squadre presenti, oggi invece hai possibilità di approdare solo in 4-5 squadre che sono amiche con quel procuratore o quella società. Servirebbe più meritocrazia, basandosi sul curriculum e su quello che hai fatto, ma purtroppo resteranno solo parole e mai diventeranno fatti”.
Non pensi che la Federcalcio dovrebbe essere affidata ad ex calciatori e non a certi personaggi che centrano ben poco col calcio?
“Ci ricordiamo che casino era successo quando si candidò Tavecchio? Che poi vinse a discapito di Tommasi? Purtroppo chi vuole cambiare le cose non lo fanno andare avanti, basti pensare allo stesso Tommasi, Albertini o Maldini, tutti grandi campioni che avrebbero potuto fare bene. Ora abbiamo la possibilità in questi di 4-5 anni di costruire qualcosa d’importante, ma se non abbiamo delle idee quali obiettivi potremmo centrare. Al posto di buttare i soldi , diamoli per sostenere le società di Serie C e D, togliamo le scommesse nei campionati minori, facciamo dei corsi obbligatori per poter allenare nei settori giovanili, da qui bisogna ripartire se si vuole un cambiamento”.
Ti ha sorpreso il fatto che Ventura non si sia dimesso dalla carica di ct della Nazionale, ma ha preferito farsi esonerare?
“Non mi ha sorpreso per nulla, perché la prima cosa che ti insegnano a Coverciano è proprio quella di non dare mai le dimissioni, invece ci si deve dimettere quando un allenatore non riesce a lavorare in un certo modo. Io personalmente nella mia carriera l’ho già fatto per due volte e se serve anche una terza, perché un tecnico deve essere libero nelle sue scelte, senza mancare di rispetto a nessun giocatore, quando questo non succede è meglio lasciare. Nell’arco della mia carriera ho dimostrato di saper lavorare, specie nei settori giovanili, dando a tanti ragazzi la possibilità di farsi una carriera, non perché gli ho insegnato aspetti tecnico-tattici, ma mi piace essere ricordato da loro soprattutto per il lato umano” .
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