Ci siamo, anzi, ci risiamo. Come da copione, il calcio si ferma di fronte alla tragedia di Genova, il crollo del Ponte Morandi. Per il momento soltanto Sampdoria-Fiorentina e Milan-Genoa, ma nei prossimi giorni potremo assistere al rinvio di tutte le partite di Serie A. Questo perché il presidente Ferrero, con l’aiuto di buona parte della stampa, sta chiedendo a gran voce che il calcio si fermi per rispetto delle vittime.
Gesto eroico e pieno di buon senso per alcuni, dimostrazione di quanto dobbiamo ancora crescere come popolo per altri. Ma possibile che di fronte alle tragedie l’unica cosa che sappiamo fare è prendere provvedimenti penalizzanti nei confronti del calcio? Minuti di silenzio, rinvio delle partite, momenti di commemorazione. Tutti sacrosanti e necessari, certo, ma se non sono seguiti da azioni concrete che senso hanno?
Il calcio si ferma, va bene, ma settimana prossima? I ponti pericolanti in giro per l’Italia saranno tutti aggiustati? Perché è questo che dovremo iniziare a chiederci. Non ci si può nascondere sempre dietro decisioni sommarie che non portano a nulla, o si agisce sul serio o tanto vale continuare la propria vita come abbiamo sempre fatto. Perché la vita va avanti, sempre.
E per ricordare che siamo umani, più che il rinvio, servirebbero biglietti a 10 euro, stadi pieni e incassi devoluti alle famiglie delle vittime. Troppo difficile, meglio mascherarsi dietro il rinvio di una partita o dietro commemorazioni da tastiera rispetto all’affrontare la vita e le scelte importanti che andrebbero fatte.
Perché un rinvio è un semplice posticipare, un aiuto concreto può ridare un futuro a chi al momento è senza una casa e risarcire, almeno in parte, i familiari di una delle tragedie più assurde e dolorose degli ultimi anni.
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