Oggi è il compleanno di Michael Owen: riviviamo insieme la sua carriera
Sono pochi i giocatori che hanno lasciato un ricordo così indelebile nella storia del calcio. Ancora meno coloro con una storia così particolare, fatta di tappe bruciate, grandi speranze, continui infortuni, promesse non mantenute. Eppure, ancora oggi il nome di Michael Owen suscita brividi di pura nostalgia, perché c’è ancora quella sensazione di incompiutezza di una carriera vissuta sempre sull’orlo dell’abisso.
La storia di Owen, in realtà, non poteva iniziare meglio di così. Dopo essere stato aggregato all’età di sei anni ai ragazzi più grandi nel Mold Alexandra e aver battuto il record di reti di Ian Rash nel campionato scolastico del Galles settentrionale con 93 gol, arriva finalmente l’esordio con la maglia del Liverpool in Premier League nel 1997 contro il Wimbledon. Inutile dire che bagnò la sua prima partita tra i professionisti con un gol.
Sarà solo il primo di una carriera molto prolifica e, soprattutto, piena di rimpianti. Il primo, paradosso della sua storia, quello di non aver mai giocato nell’Everton. Sì, perché Owen era tifoso dei Toffies, non dei Reds. Forse, proprio per questo, quando poi arriverà l’offerta, accettò la proposta del Manchester United. Ma ci vorrà ancora del tempo, diversi anni prima del grande tradimento alla Kop e all’inno “You’ll never walk alone”.
In sette anni con la maglia del Liverpool arriveranno le più grandi soddisfazioni per l’attaccante inglese, che firma il tabellino per ben 158 volte in 274 partite, vincendo praticamente da solo una FA Cup contro l’Arsenal con una doppietta decisiva, tanto da essere ricordata come la “Michael Owen final”, oltre a due Coppe di Lega, una Community Shield, una Coppa Uefa e una Supercoppa Uefa. Ma, soprattutto, due titoli di capocannoniere della Premier League, Miglior giovane e Miglior esordiente in campionato, Miglior giovane ai Mondiali in Francia nel 1998, e il Pallone d’Oro e Calciatore dell’anno World Soccer nel 2001.
Proprio il Mondiale francese fu la consacrazione di Owen. Impossibile dimenticare il magnifico gol a Saint-Etienne contro l’Argentina: saltare tutti, bruciare un totem del calcio argentino come Roberto Ayala e concludere a rete con quel mix perfetto di precisione e potenza, non è cosa che si vede tutti i giorni da un appena diciannovenne. La sua storia con l’Inghilterra è l’emblema della sua carriera, perché il Golden Boy, il suo soprannome conquistato a suon di record, doveva salvare quella nazionale, non lasciarla nel baratro e nel limbo della mediocrità.
Non ci è riuscito Owen, nonostante i suoi 40 gol in 89 partite, un ruolino di marcia assolutamente invidiabile, una media gol da quasi un gol ogni due partite. Proprio per questo, probabilmente, è leggenda, una sorta di mito dell’antichità, che ricorda un po’ le fatiche di Ercole.
Così come il leggendario guerriero, anche Owen è stato capace di rialzarsi sempre di fronte alle difficoltà. La sua carriera, purtroppo, fu costellata da tantissimi infortuni, che di fatto ibernarono il suo magnifico talento, la sua completezza di attaccante, il suo magnifico fiuto del gol, il suo cinismo sotto porta. Non aiutato neanche da un carattere mite e una personalità molto umile, l’attaccante inglese cominciò la sua parabola discendente nell’estate del 2004, quando decise di accettare la corte del Real Madrid.
Era la squadra dei Galacticos, che sborsarono solo 12 milioni di euro per l’allora più forte giocatore inglese, insieme, ovviamente, a David Beckham, anche lui tra i trofei dei Merengues. Nonostante partisse raramente titolare, Owen riuscì comunque a chiudere quell’unica stagione in Blancos con 16 gol in 45 partite, ma che non valsero titoli. Era abituato a giocare sempre Owen nel Liverpool. Il richiamo del campo e della madre patria era troppo forte.
Così, nell’estate del 2005 firmà per il Newcastle, squadra che aveva grandi ambizioni, confermate dai 25 milioni di euro messi sul piatto al Real Madrid, che lo lasciò partire senza troppi rimpianti. Purtroppo, proprio gli anni con i Magpies furono l’inizio della fine dal punto di vista fisico. Tanti, troppi furono gli infortuni subiti, che stroncarono la carriera dell’attaccante inglese, arrivato a disputare solo 80 partite, segnando comunque la bellezza di 30 gol, confermando quindi il suo feeling con la porta.
Quando meno te l’aspetti, ecco che arriva la grande chiamata. Fu Sir Alex Ferguson a fiutare l’affare e convincerlo a firmare con il Manchester United, realizzando il grande tradimento, di cui sopra, tanto da essere accusato dai tifosi Reds con questo striscione: “once a Manc, never a red”. Un uomo Liverpool non può e non deve diventare un Red Devils. Ma Owen non era tifoso Reds, questo bisogna ricordarlo. Quindi, non ci furono dubbi riguardo al trasferimento.
Acquisto a parametro zero, possibilità di giocarsi il posto e lottare per vincere grandi trofei, ma senza la pressione di dover per forza essere un uomo decisivo. Impossibile da rifiutare, perché era troppo grande l’opportunità di tornare a sentirsi giocatore vero, ricominciare a rialzarsi dai pugni presi e smentire i più critici, che lo consideravano già un ex giocatore.
Purtroppo, però, il fisico di cristallo era già debilitato. Per lui furono tre anni sicuramente da ricordare, conditi da 17 gol in 51 partite, ma soprattutto una stima incredibile da parte del manager scozzese, che sempre elogiò la sua importanza per il gruppo e lo spogliatoio. Avventura che permise a Owen di vincere finalmente quel campionato tanto agognato con la maglia del Liverpool, oltre ad un’altra Coppa di Lega e due Community Shield.
Per chiudere la carriera, Owen fece un’ultima stagione con lo Stoke City, realizzando una rete in 9 presenze, l’ultima della sua carriera e di uno score definitivo da 222 gol in 482 partite con i club.
Non molti, forse, ricorderanno chi era veramente Owen, uno dei primi attaccanti di movimento moderni, una punta che aveva tutto per sfondare e diventare tra i più grandi giocatori della storia del calcio. Era preciso, cinico sotto porta, rapidissimo nello stretto, con una progressione incredibile. Talvolta, sembrava davvero imprendibile, poteva segnare in qualsiasi modo, in qualsiasi momento. Sapeva anche segnare di testa, nonostante i suoi 172 cm, perché il fiuto del gol deve essere sempre assecondato, anche in modi che possono essere impensabili rispetto alle reali possibilità di un uomo.
Non è stato un’illusione, come invece pensano in molti. Poteva essere davvero qualcosa in più, ma Owen resta una delle pagine più belle, allo stesso tempo tristi, nostalgiche e passionali, della storia del calcio. Perché è con storie come le sue, fatte di rimpianti, cadute e continuo rialzarsi dal baratro dell’oblio, ma soprattutto piena di storia dell’uomo, più che del calciatore, che siamo cresciuti e amiamo questo sport.
Per noi sarà sempre il Golden Boy, colui che bruciò tutte le tappe. Ricorderemo sempre quel gol all’Argentina. Sarà sempre una leggenda. Il ragazzo che crebbe troppo presto e fu colpito dalla sfortuna. Per l’eternità, Michael Owen, il Golden Boy che non riuscì a salvare l’Inghilterra.
Seguici su Telegram
Rimani aggiornato sulle ultime novità, i Pronostici Scommesse e i migliori Bonus Bookmaker.