Esclusiva – Ezio Ferrari: “I soldi ci sono ma non c’è il giusto indirizzo politico”. Massimo Dovere: “Manca cultura di manutenzione, ci vogliono persone qualificate”

Per la nostra testata sportiva Stadiosport abbiamo l’onore di intervistare il signor Ezio Ferrari, presidente dell’Associazione Impianti Sportivi e Massimo Dovere presidente della Federazione Nazionale Operatori Sportivi Autonomi. Due personalità che hanno a che fare con il mondo degli impianti sportivi, sia da un punto di vista della manutenzione ma soprattutto nel loro rapporto con gli enti di riferimento. Il primo parla dei problemi, il secondo si concentra sulle possibili cure a queste difficoltà. (In seguito utilizzeremo le iniziali per definire a chi ci stiamo rivolgendo con le nostre domande: E.F. per Enzo Ferrari, M.D. per Massimo Dovere)

Elenco degli argomenti

Partendo dal signor Ferrari, vogliamo chiedergli quali sono i criteri sulla base dei quali viene valutato un progetto di costruzione, ristrutturazione o manutenzione di un impianto sportivo?
Ezio Ferrari, Presidente dell'Associazione Impianti Sportivi
Ezio Ferrari, Presidente dell’Associazione Impianti Sportivi durante un convegno. Fonte: https://www.linkedin.com/in/ezio-ferrari-94ab8770/

Il primo criterio è quello di rendere sostenibile a livello energetico l’impianto sportivo, quindi portarlo il più possibile vicino a zero nei costi energetici.

L’altro è quello di portare un reddito, con un sostegno da un punto di vista economico. In questo caso viene fatto uno studio di fattibilità per vedere cosa si può inserire di attività nuova complementare a quella preesistente, per farli diventare polifunzionali. Ciò comporta farli lavorare tutta la settimana, tutti i giorni e quindi portarli a reddito.

Ultimo, ma non in termini d’importanza, farlo diventare accessibile ad un’ampia platea, compresa quella dei diversamente abili.

Negli appalti di costruzione e/o ristrutturazione degli impianti sportivi perché nn è mai stata menzionata la voce manutenzione? Chi si è offerto ha posto questo problema?

E.F. C’è un primo problema che riguarda la proprietà degli impianti sportivi. Questa solitamente è affidata ai comuni e la situazione è completamente fuori controllo, disastrata. Oltre ad essere in situazione di decadimento non sono nemmeno a norma. Spogliatoi che vengono usufruiti dai ragazzi, ma sono in uno stato pietoso.

Non esiste una normativa seria sulla manutenzione di questi impianti. Cosa comporta questa mancanza?

E.F. Gli impianti elettrici, per esempio, sono una questione importante. Sono vecchi, vetusti, non si pensa nemmeno a cambiarli o farne manutenzione, neanche dove ci sono le norme che lo prevedono.

Esistono degli studi universitari sulla qualità del lavoro svolto da un professionista e un dilettante riguardo la manutenzione? Una certificazione, come un bollino, per assicurare un impianto sportivo? Una ricerca economica sui costi della manutenzione?

E.F. Non esistono delle guide, delle indicazioni su come vada svolto un lavoro di manutenzione. Esistono delle Federazioni sportive, come il calcio o il tennis ad esempio, che danno delle dritte sulla riqualificazione. Però queste non vengono seguite e finisce tutto in un cassetto. Di certificazioni nemmeno l’ombra, brancoliamo nel buio. Nemmeno per quanto riguarda le analisi economiche.

Per quanto riguarda i fondi o i prestiti per la ristrutturazione, non esiste un canale finanziario con tassi agevolati? Esiste solo il CSI?

E.F. Il Credito Sportivo, come lei ha detto, un ente che ha un nuovo presidente da pochi anni. E’ l’ingegner Abodi, il quale ha dato una svolta all’intero settore dei finanziamenti. 

Ce ne sono altre sia per le Pubbliche Amministrazioni (che le usano poco) e per i gestori. Per i primi ci sono delle procedure tecniche, come il partenariato pubblico-privato, il leasing costruendo. In questo caso la Pubblica Amministrazione non ha costi, si trova riqualificato il centro, ha delle rate ma queste vengono coperte dall’affitto. Un percorso che non viene mai utilizzato dall’Amministrazione pubblica, anche se l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) lo promuove.

La Pubblica amministrazione preferisce dare in gestione un centro sportivo e il gestore si deve assumere l’onere di un finanziamento dal CSI (Credito Sportivo Italiano). Quest’ultimo invece di pagare un affitto si paga le rate di un mutuo. Sarebbe più corretto che la P.A. si pagasse le rate, le quali vengono coperte dal pagamento di un affitto da parte del gestore. Quest’ultimo devo accollarsi un finanziamento di un bene che non gli appartiene.

La P. A. afferma che questi strumenti, come il leasing costruendo, fanno debito, non possono permettersi di sforare il patto di stabilità e rinunciano all’iniziativa.

In riferimento ai gestori, invece, ci sono delle nuove opportunità, un fondo garanzia senza bisogno di dare la fideiussione, con tasso zero. Sono iniziative venute fuori ultimamente, per aiutare la ripartenza da questa grave pandemia che sta colpendo il mondo intero.

Massimo Dovere è intervenuto riguardo a questo aspetto, ovvero nella trasformazione di un progetto in azione concreta, con le relative noie burocratiche e di responsabilità che ermergono.
Massimo Dovere, Presidente della Federazione Nazionale Operatori Sportivi Autonomi.
Massimo Dovere, Presidente della Federazione Nazionale Operatori Sportivi Autonomi. Fonte: https://www.linkedin.com/in/dovere-massimo/

Il Comune in genere non dà la gestione ad altre società. Quando è costretto perché i debiti sono troppi li dà alla società in appalto. Quest’ultima non si fa carico della manutenzione, ma dice soltanto che prende in appalto l’opera, pagando la relativa cifra stabilita. Quest’ultima per non finire con i conti in rosso, prende personale molto discutibile. Una persona della sua famiglia già andata in pensione o qualcuno che è alle prime armi con l’erba. Peggio ancora qualcuno che gli fa gratis un certo lavoro.

Si può capire come questo sistema sia il più lontano possibile da un’idea di professionalità. Dopo dieci anni la società che ha in gestione la struttura abbandona l’attività o perché ha finito l’opera di gestione o peggio ancora non rientra nei conti. Il campo abbandonato risulta in condizioni peggiori rispetto a quelle in cui versava prima.

Il comune spesso sceglie di dare in gestione strutture a società spesso ASD (Associazione Società Dilettantistica), per nulla professionali. La mancanza di figure competenti fa scattare il ritardo nelle opere di manutenzione.

Il problema nasce nel capitolato di gestione della manutenzione. Il Comune si preoccupa di dare in gestione una struttura ma non s’interessa se la società incaricata faccia o meno il suo lavoro e come.

Quindi secondo lei queste deficienze sono fatte volontariamente, oppure non ci si rende conto, sono commesse per inesperienza o incapacità?

M.D. Il problema è tutto nei capitoli di spesa. Piuttosto che spendere 1 milione o 800mila euro una società fa attenzione e cerca di avere un vantaggio. Nessun rimprovero per queste scelte, però l’altro lato della medaglia è il disservizio spaventoso che offre.

Le faccio un esempio che riguarda i palazzetti e l’acqua che cola nelle sue strutture. Di chi è la colpa? Di nessuno, specialmente se questo ha vent’anni non può accollarsi le responsabilità di un’epoca precedente a quella in cui ha preso in gestione la struttura.

Sarebbe colpa della manutenzione fatta in sequenza dal comune che doveva dire ad ogni singolo gestore fai il pavimento, il soffitto o altro.

Questo non è stato fatto e chi si prende all’ultimo la gestione acquisisce anche il dolo perché ha pagato per avere un servizio ma subisce il problema che il palazzetto è inagibile. Il Comune arriva, giudica che sei incapace e ti chiude il palazzetto. Bisogna fare manutenzione, la quale se dev’essere fatta dal Comune chiude, mentre se viene mandata in gestione, la società che la assume deve dimostrare di essere in grado di risolvere il problema.

Quindi lei chiede che nel capitolato di spesa ci siano i termini e vengano stabilite le responsabilità per ogni singolo aspetto della manutenzione. Non è vero?

M.D. Esatto. Se succede questo problema, la società deve rispondere con un certo tipo di accortezze. Come accade con le assicurazioni. Invece è lasciato al caso e dopo un periodo di tempo le società abbandonano perché non sono in grado di sostenere quei costi.

Succede spesso che dopo aver fatto dei lavori, non avendo la fattura, non producono il documento di dichiarazione che è stato fatto qualcosa.

Una volta fatte le verifiche vedono che non sono a norma, in quanto utilizzano persone non professioniste, senza la necessaria competenza.

Immagine di un prato accompagnata dal logo dell'Associazione
Immagine di un prato accompagnata dal logo dell’Associazione (foto Esclusiva Stadiosport.it per gentile concessione di Giovanni Taverna) ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il problema, quindi, di che natura si tratta? E’ politico? O di sistema?

M.D. E’ soprattutto una questione politica dove si preferisce fare, ad esempio, una panchina in mezzo al prato e non il campo di calcio. Si fa una scelta, ma questa alla lunga ricade sugli organismi che lavorano su questo mercato. La società di calcio si deve accollare questo servizio, il cosiddetto terzo settore, che curerebbe l’aspetto sociale ma di fatto è una società privata.

Chi va a vedere una partita e vede che il campo è ridotto in pessime condizioni si sta rivolgendo alla società e non al comune. Dovrebbero esserci sistemi, come la possibilità di entrata di capitali privati, per permettere alla società di potersi muovere.

Altre società hanno deciso di incassare le quote senza fare manutenzione.

3000 campi ridotti in pessime condizioni denunciano un problema evidente. Rappresentano il 30-40% dell’intero territorio nazionale, un numero importante che non va sottovalutato.

Quindi il problema va spostato ad una normativa ministeriale, con il CONI, che possa creare un protocollo d’intesa sui partecipanti. Tutti sono interessati alla sua risoluzione, ma il problema va posto più in alto, perché non esiste che le singola società debba lottare con il comune.

Come mai, secondo lei, non esistono cantieri di lavoro realizzati con questi criteri di finanziamento?

E.F. C’è poca conoscenza di questo strumento, come il leasing costruendo. Nonostante ciò la nostra Associazione organizza spesso dei convegni dove se ne discute. La Pubblica Amministrazione è contraria perché pensa di dover fare del debito.

Ci sono situazioni molto complicate nei rapporti con le Pubbliche Amminstrazioni. Se, per esempio, lei va in un ufficio tecnico, chiede una planimetria, le chiedono subito a cosa le serve. Lei risponde che deve fare una riqualificazione, quindi dall’altra parte le rispondono con una certa diffidenza, vogliono sapere che tipo di ristrutturazione. Le pratiche diventano lunghe, i rapporti sono spesso contrastanti.

Eppure i finanziamenti ci sono, il CSI (Credito Sportivo Italiano) non ha problemi da quel punto di vista.

Le Amministrazioni comunali cosa intendono per manutenzione ordinaria e straordinaria di un centro sportivo?

E.F. Per la manutenzione ordinaria si fa riferimento ai campi in erba, sintetico, le reti e le recinzioni. Per quella straordinaria s’intende l’inserimento di nuove attività, come ad esempio l’ampliamento degli spogliatoi.

Un esempio di campi abbandonati a Roma
Un esempio di campi abbandonati a Roma. (foto Esclusiva Stadiosport.it per gentile concessione di Giovanni Taverna) ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Non esistono Enti o Federazioni che, con i suoi professionisti e tecnici è in grado di occuparsi di manutenzione e ristrutturazione dei campi sportivi?

E.F. Il CONI è l’organo in prima fila in questo genere di attività. Soprattutto quelli regionali, i quali hanno degli architetti che sono veri e propri delegati tecnici. Ciascun impianto sportivo deve ricevere un’attestazione dallo stesso CONI, che certifica la manutenzione e la gestione dello stesso. A me capita spesso di fare delle valutazioni con questi professionisti, ma la maggior parte non ne ha mai fatte. Non hanno quindi l’assenso del CONI e non sono a norma. Quando questi architetti vengono chiamati, tutte queste società che gestiscono impianti ricevono un parere che le costringe a fare i giusti interventi per avere l’autorizzazione.

Costa poco chiedere l’intervento di un tecnico, ma non viene fatto. La motivazione, principalmente, è che non sono al corrente di questo parere necessario. La maggior parte delle persone che lavora in ambito gestionale lo fa per passione, ma non ci mette la giusta professionalità.

Sarebbe un aiuto importante, perché migliorerebbe la struttura dell’impianto. Tutto ciò a vantaggio di chi lo gestisce.

Conclusioni

Da queste due interviste si evince come e problematiche della manutenzione degli impianti sportivi andrebbero viste da un punto di vista tecnico. Il CONI ha certamente i suoi organi di controllo, ma occorre che si attui un programma di preparazione professionale.

A nessun Ente, che sia comunale, sportivo, federale, istituzionale vanno attribuite colpe della cattiva gestione degli impianti sportivi. Il motivo è che non esistono organi di competenza che si assumono la responsabilità e che possono dare una linea olistica da seguire.

Ci sono diverse professioni in ballo, tra cui groundsman per la cura dei terreni erbosi, professionisti delle energie rinnovabili con l’utilizzo di fonti alternative, sociologi che si attiverebbero per creare attività da svolgere nell’intero arco di una giornata, quindi addetti alla sicurezza e alla salute dei frequentatori.

I 3000 impianti sportivi abbandonati al loro degrado dovrebbero dare un campanello d’allarme. Occorre includere negli appalti di costruzione anche la manutenzione ordinaria e straordinaria. Bisogna che venga considerata un investimento e non una spesa.

A questo link ci sono tutti i dettagli per firmare una petizione in favore del riconoscimento della figura del Groundsman da parte del Ministero del Lavoro!

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