Esclusiva – Inselvini: “Barella prototipo del centrocampista moderno. Vi racconto lo Scudetto con la Lazio e gli anni a Brescia e Foggia”

Stadiosport.it ha intervistato in esclusiva Fausto Inselvini, ex centrocampista di Brescia, Lazio e Foggia negli anni ’70

Come si è avvicinato al calcio Inselvini?
“Tramite l’oratorio del mio paese (Travagliato). Iniziai lì a giocare, poi proseguii nel settore giovanile e dopo 2 anni venni acquistato dal Brescia. Sono partito dagli allievi regionali, fino ad arrivare in primavera e successivamente in prima squadra. Questa era solitamente la trafila dei miei tempi”.

Qual era il suo idolo d’infanzia ?
“Nessuno, pensi che all’inizio amavo correre in bicicletta. Mio padre mi aveva comprato una biciclettina, dopo 2 anni mi stufai e mi avvicinai al calcio. Mi ricordo molto bene però Charles, Sivori e Boniperti, anche perché bambino ero juventino”.

Quanto è stata importante per lei l’esperienza al Brescia per la sua formazione?
“Sicuramente sì, anche perché ebbi degli allenatori, nel settore giovanile, molto validi e che ti insegnavano un sacco di cose. Dalle giovanili alla prima squadra sono rimasto circa 6 anni a Brescia e attraverso varie situazioni, ogni anno migliorai. Ero un buon calciatore e riuscì ad esordire nel Brescia in Serie A nella stagione 1969/70. Passai direttamente dalla primavera alla Serie A. C’è da dire che una volta chi meritava andava avanti e non c’erano di mezzo i procuratori, chi giocava lo meritava, perché era valido e non perché era figlio di questo, piuttosto che di quello, non si guardava in faccia nessuno. Era più bello giocare in passato, c’era anche più soddisfazione. Per me i procuratori rappresentano la rovina del calcio, infatti basta vedere come sono indebitate le società per dare i soldi ai calciatori e ai loro procuratori. Guarda il Chievo Verona, ho lavorato lì per 5 anni come osservatore, era una società modello, ma piano piano i soldi sono mancati. Juventus, Milan e Inter vanno avanti perché hanno sovvenzioni e sponsor importanti, mentre le piccole vanno avanti lentamente. Oggi poi si corre tanto, ma c’è poca tecnica in giro, già a partire dai ragazzini. Una volta c’era molta più tecnica, basta citare Mazzola e Rivera i quali sapevano fare lanci di 70/80 metri e servire i compagni sul petto, oggi non vedo più queste cose. Sono anche cambiati i metodi di allenamento, se ai nostri tempi si fossero fatte le preparazioni meticolose di oggi, correvamo anche noi come i calciatori attuali, ci sono varie attrezzature che ti permettono di correre di più. Una volta l’allenamento era sempre quello ed è per questo che si dice sempre che una volta si correva di meno. Se dovessi parlare dei campioni di oggi cito per esempio Ibrahimovic e Messi, ma certe volte oggi vengono esaltati come grandi calciatori anche quelli che fanno bene i passaggi a due metri. Posso dirti che mi è anche passata la voglia di seguire il calcio e le partite, rispetto a prima”.

Ripensando allo scudetto conquistato con la Lazio, cosa ha provato in quel momento?
“Ho trovato un’ambiente stupendo, da parte della società e dei tifosi. Il tifo era vicino ai calciatori , anche se andavano male, oggi invece se non si vince è dura. Quello scudetto era inaspettato, nessuno pensava di vincerlo, sono sensazioni che non potrei neanche descrivere. Se sento l’inno della Lazio mi viene ancora oggi il magone. E’ stato un anno e mezzo da brividi, siamo stati bravi e ancora oggi ci sentiamo e addirittura tre anni fa all’Olimpico abbiamo fatto una riunione tra ex calciatori davanti a un pubblico immenso. A Roma, a differenza di altre parti, ci tengono molto a queste cose”.

Durante gli allenamenti chi la impressionava di più per le sue qualità in campo?
“Ce n’erano tanti, da Re Cecconi, Frustalupi, Wilson, era una bella squadra ma nessuno credeva di vincere lo scudetto. Siamo partiti bene, ma eravamo una squadra un pò pazza, c’erano dei pazzoidi in questa squadra. Nessuno si aspettava un’annata favolosa come quella. E’ andato tutto bene e abbiamo giocato un grande calcio. E’ stato un anno favoloso, ancora oggi i laziali si ricordano bene il primo scudetto, il secondo era più prevedibile, data anche la presenza di campioni come Mancini e Mihajlovic, calciatori già navigati”.

Come descriverebbe Maistrelli come allenatore?
“Oggi non c’è un allenatore come Maestrelli. Secondo me lui, più che allenatore era un padre per tutti, riusciva in tutti i modi a calmare le acque quando si agitavano. Dava tranquillità ai calciatori importanti e parlava con i giovani. Oggi invece secondo la mia idea, non si guarda in faccia nessuno, c’era più umanità prima nella figura dell’allenatore”.

Con quale compagno di squadra lei ha legato maggiormente?
“Con tutti, io ho dormito in stanza con Martini e Re Cecconi, ma in quella squadra si era formata una famiglia di pazzi, ma quando si andava in campo si voleva centrare il traguardo. Capitava di litigare durante le partitelle settimanali, ma erano delle partite sudate, per riuscire ad ottenere un posto in squadra. In panchina prima c’erano solo il dodicesimo e il tredicesimo a differenza di oggi. A me è andata bene, infatti quell’anno collezionai 11 partite e un paio di panchine. A Roma mi sono trovato complessivamente molto bene”.

Qual è stato l’avversario più forte mai affrontato in carriera ?
“Riva, Rivera e Mazzola, tra l’altro io li marcai pure. Erano campioni in campo e fuori, non erano montati come i calciatori di adesso. Oggi a momenti se uno gioca tre partite all’anno si esalta. Ho parlato tante volte con quei tre, ma erano delle persone normalissime. Ribadisco, a me questo calcio non va più bene e e mi sono levato direttamente io perché non mi interessa più”.

Cosa ricorda dell’esperienza al Foggia ?
“A Foggia sono stato bene i primi 2 anni, fui accolto bene, poi fu un cambio di allenatore e questo nuovo mister non mi vedeva molto bene e allora per giocare andai a San Benedetto del Tronto. Poi tornai nuovamente a Foggia, ma quando torni da un incidente come quello che ebbi è difficile giocare e infatti non giocai mai e proseguì da altre parti la mia carriera. I primi 2 anni di Foggia li definisco stupendi, abbiamo anche vinto un campionato di Serie B. Però lì c’era già un altro ambiente, c’erano calciatori come Pirazzini e un altro paio che giocavano lì da più di 10 anni, che erano un pò i patriarca della situazione e comandavano sia sull’allenatore che sul presidente. Io primi due anni giocai molto, però poi ebbi uno screzio con Pirazzini e la situazione si incrinò. Ovviamente può capitare perché due persone la pensano magari diversamente. Ricordo che molti credevano che io fossi un montato dopo lo scudetto, invece ero un semplice ragazzo di paese che voleva giocare. Per questo motivo accettai il Foggia, Maestrelli mi disse che non poteva garantirmi il posto in squadra, anche perché Re Cecconi era tornato a giocare e io accettai di andare via. La Lazio inoltre aveva bisogno di soldi, Lenzini aveva speso molto e doveva rientrare, dal mio cartellino infatti ottennero 700 milioni di lire”.

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo lei ha fatto sia l’allenatore che l’osservatore (Milan, Brescia, Chievo Verona), come cambia il modo di approcciarsi al calcio ?
“Finita la mia carriera da calciatore, ho voluto provare quella di allenatore. Ho fatto l’allenatore nelle squadre del sud Italia, per 15 anni. Le miei idee sono rimaste quelle e ho sempre rispettato i ragazzi che ho avuto a disposizione. Due anni fa a Siderno andai a trovare un amico, lui mi ospita sempre lì al mare e io lo ospito qui a Brescia. Al Sud c’è un altro ambiente. Quando tornai a Brescia dopo 15 anni, non trovai una squadra di terza categoria da allenare. E’ una vergogna, nessuno ti chiama se non sei più nel giro dei procuratori e nessuno mi chiamò. Non ho paura di andare in televisione e dirlo chiaramente in faccia. Devo dire quello che penso, perché è la verità” .

In che cosa è cambiato il ruolo del centrocampista ?
“Una volta il compito del centrocampista era quello di marcare l’avversario più pericolo della squadra avversaria. Ora invece c’è stata un’evoluzione positiva e il centrocampista si muove di più e va anche in avanti. Un esempio è rappresentato da un calciatore come Barella”.

Quale consigli darebbe ai giovani che si avvicinano a questo sport?
Io ho due nipoti che giocavano a calcio ma hanno smesso perché si sono rotti le scatole. Ci sono già i procuratori che si occupano dei calciatori fin dalla giovane età. Io consiglio di andare avanti, di non guardare in faccia nessuno, sperando che in mezzo non si infilino procuratori che favoriscono i loro assistiti rispetto ad altri ragazzi. Purtroppo questa situazione riguarda tutta l’Italia. Mio nipote è arrivato a 19 anni in Serie C. Lui giocava nella FeralpiSalò e quest’anno ha deciso di mollare e di continuare a studiare perché stufo di questa situazione. Prima non c’era questa pressione, ora il ragazzino gioca con la pressione e con la paura di sbagliare”.

Cosa ne pensa del progetto di Roberto Valentino di rigiocare i campionati del passato?
“E’ sicuramente una trovata unica e speciale. Sono curioso di vedere quando partirà la Coppa dei Campioni virtuale della Lazio 1974/75. Per me ci sono molte aspettative e molte persone probabilmente la guarderanno. Si tratta di qualcosa di positivo. Poi lui (Roberto Valentino) è molto bravo e molto competente”.

Luca Meringolo © Stadio Sport

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