Dal calcio a Sanremo: messaggi politici e sociali

La musica e lo sport sono mezzi potentissimi capaci di rendere possibile l’inimmaginabile e far sognare la gente, andando oltre ogni confine. Sanremo ha visto trionfare un ragazzo le cui origini hanno fondamento in una cultura molto lontana dalla nostra, quasi sconosciuto ai più fino a pochi giorni prima dell’inizio del Festival, ma le polemiche sociali e politiche sono sempre attuali. In questa nostra rubrica intendiamo analizzare alcuni aspetti (che non ci piacciono) dello sport e della nostra società, che ci porta ad essere stucchevoli, politicamente (s)corretti e quasi omologati. 

Gli amanti dello sport continuamente si trovano dinanzi a congetture, presunti complotti e lotte contro i “poteri forti”. Ogni tifoso si chiede perché la propria squadra debba abbassare la cresta contro squadre politicamente e socialmente più importanti, più blasonate, più “pesanti”. Se lo chiedono da anni in Italia tutti quelli che vedono trionfare continuamente la Juventus, la cui vittorie non sono state messe in discussione neanche con l’introduzione del Var

Anche questo importantissimo strumento, nato per rendere tutto più nitido, ha, se possibile, infuocato ancora di più le polemiche nel momento in cui i bianconeri hanno magari ricevuto favori, se così possiamo chiamarli, da arbitri che hanno preferito chiudere gli occhi e non si sono avvalsi della tecnologia per non rischiare di andare contro la Vecchia Signora (vedi rigore non decretato in favore del Milan in finale di Supercoppa Italiana allo scadere, episodio che non è stato neanche rivisto al monitor). 

Se lo chiedono i tifosi della Juventus stessa quando escono dalla Champions League e vedono trionfare per anni di fila il Real Madrid, che sarebbe un club amico della Uefa e che, a dire di molti, usufruisce di continui favori affinché possa andare fino in fondo. 

Se lo chiedono gli sportivi in generale quando vedono la Uefa far la voce grossa con Milan, Inter e Roma per il rispetto del Fair Play Finanziario mentre in Europa c’è chi spende e spande a proprio piacimento (PSG e Manchester City su tutte). 

Insomma, raramente si riesce a veder trionfare la Cenerentola di turno come accadde al Borussia Dortmund di Klopp o allo strabiliante Leicester di Claudio Ranieri e quando accade c’è sempre un alone di sospetto che accompagna le gesta eroiche. 

In quest’ultimo caso, ad esempio, si disse che la vittoria del Leicester fu decisa a tavolino dagli esponenti della Premier League perché il campionato inglese stava perdendo fascino, perché i proventi dei diritti TV stavano diventando sempre più bassi, perché il popolo britannico si stava disinnamorando del calcio ed una cavalcata così stupenda come quella degli uomini di King Claudio avrebbe riacceso l’entusiasmo, rimettendo tutta la macchina economica in moto. 

Ecco, proprio nella vittoria del Festival di Sanremo di Mahmood rivediamo, a tratti, la vittoria del Leicester. In apparenza una favola bellissima, il coronamento di un sogno, un calcio ai poteri forti, il trionfo delle piccole realtà che, per una volta, hanno la meglio sui grandi nomi maggiormente blasonati.

Ma se così non fosse? Se, invece, fosse solamente un messaggio politico e sociale deciso proprio dai poteri forti che tanto vogliamo contrastare? 

Sanremo rappresenta l’Italia. Il Festival rappresenta la famiglia italiana tradizionale e i vecchi valori da essa esaltati. Al di là della soggettività del gusto, al di là dell’oggettività tecnica. Ma, soprattutto, oltre i confini e i limiti imposti dalla società e dalla politica. Sanremo non deve e non può essere utilizzato come uno strumento politico. La musica, così come il calcio, trascende l’attuale governamento. La musica, così come il calcio, soprattutto Sanremo, dovrebbe premiare il merito artistico e non diventare un mezzo attraverso il quale si trascende da esso. Per questo, al di là di tutto, la vittoria di Mahmood vuole passare per un messaggio sociale, quando i numeri dicono l’esatto opposto: è un messaggio politico e niente più.

In questa nostra analisi è fondamentale sottolineare che non abbiamo nulla contro i migranti, né tanto meno nei confronti di Mahmood, un ragazzo assolutamente valido e che farà sicuramente strada nel mondo della musica grazie al suo talento.  

Ma questa vittoria non è giusta proprio per lui. Perché non troviamo giusto che un ragazzo del ’92 venga strumentalizzato per motivi politici. In molti assoceranno la sua vittoria al messaggio politico contro Salvini e compagnia bella, mentre dimenticheranno il talento artistico di un ragazzo, ripetiamolo, assolutamente in gamba. 

E’ strano che a vincere sia stato un cantante che fino all’ultima puntata ha galleggiato “tra la parte gialla e quella rossa”, mentre già da giorni la diatriba Baglioni-Salvini aveva ridotto il tutto, per l’ennesima volta, ad una questione meramente politica. 

Gli italiani si chiedono come sia possibile non vedere, ad esempio, Loredana Berté sul podio dopo l’ovazione del pubblico che urlava a gran voce il nome della cantautrice calabrese, così come Simone Cristicchi che ha ricevuto i due premi tecnici più importanti (miglior testo e migliore composizione musicale). 

E’ tanto strano quanto inammissibile che sia stata ribaltata la volontà popolare: un 46,5% (percentuale di voti ricevuti da “Ultimo” per la finale) va ben oltre il 14,1% (percentuale in favore di Mahmood) e nemmeno un 63% da parte di stampa e giuria d’onore avrebbe potuto ribaltare la sovranità del popolo. 

Il Festival di Sanremo è per il popolo, non per la politica. Sovvertire annullando il giudizio del popolo significa boicottare la sovranità dello stato in una condizione di ammutinamento socio-politico che sfiora l’anti-costituzionalità.


E’ altrettanto strano che, navigando sul web ieri sera alle 00:59, si poteva leggere su Wikipedia che “Mahmood nel 2019 vince il Festival di Sanremo con il brano Soldi, quando il televoto sarebbe stato chiuso solamente alle 01:17 ed il vincitore in mondovisione sarebbe stato annunciato solamente alle 01:27 circa. Wikipedia aveva dunque anticipato di ben 28 minuti l’annuncio, dando il nome del vincitori addirittura 18 minuti prima della chiusura del televoto.  

Concludiamo lanciando una mera provocazione: sarebbe forse meglio scindere il premio in 3 diverse parti ma aventi lo stesso identica importanza? Per avere trasparenza, non sarebbe forse il caso di assegnare un premio dalla giuria demoscopica (voti dal pubblico), un premio dalla giuria d’onore/critici e un altro premio dalla giuria della stampa in modo da evitare ogni sotterfugio politico e sociale? 

Gabriele Arcifera in collaborazione con Benito Letizia 

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