Alvaro Recoba, la favola incompiuta

La storia del calcio è ricca di talenti più o meno sprecati. Spesso i geni più straordinari sono anche i più sregolati e gli esempi, anche nella storia recente, sono numerosi: guardando soltanto in casa nostra impossibile non citare quello che poteva essere (e che purtroppo non è stato) Cassano

Ma c’è un caso più di ogni altro che grida vendetta: quello di Alvaro Recoba. Un giocatore che, per sua stessa ammissione, ha dato al calcio molto meno di quello che poteva dare. Nel 2009, al mensile francese So foot, dichiarò: “Quando smetterò di giocare di sicuro mi dirò: che stupido sono stato“.

Recoba è il classico talento che nasce una volta ogni cinquant’anni e che aveva tutto per entrare nell’Olimpo dei campioni immortali dello sport più bello del mondo: tecnica cristallina, fiuto del gol, un sinistro baciato dagli dei del calcio perfettamente bilanciato tra potenza e precisione e quel pizzico di sana follia che lo ha portato a segnare alcune reti leggendarie (come il pallonetto da 50 metri che illuminò un Empoli-Inter nel gennaio del ’98). 

Nato nel piccolo Uruguay nel 1976 (annata che ha regalato al calcio una quantità pazzesca di campioni straordinari), fin da ragazzino aveva l’aura del predestinato. Esordio folgorante nel lontano 1993, neanche maggiorenne, con il Danubio, una delle principali squadre della sua Montevideo: in 7 apparizioni il giovanissimo Recoba segna ben 5 reti.

Il ragazzo ha la stoffa del campione e si impone ben presto come titolare: nei due anni successivi in 34 partite colleziona 27 gol. Sono numeri straordinari per un fantasista, un numero 10, uno che dovrebbe illuminare il gioco più che finalizzarlo: ma Recoba in campo fa quello che vuole e segna con la stessa facilità con cui dispensa assist illuminanti.

La sua straordinaria vena è confermata anche quando si trasferisce, nel 1996, nel club principale di Montevideo: il Nacional con cui in due anni Recoba segna 30 reti in 33 presenze

Un talento con numeri del genere non può non essere notato anche in Europa. Se ne innamora l’Inter, o meglio: Massimo Moratti in persona, grazie ad una videocassetta contenente le magie del giovane uruguaiano.

Recoba negli anni successivi sarà la sua croce e la sua delizia, sicuramente il giocatore che più ha amato e che sintetizza al meglio la sua ventennale presidenza contrassegnata da successi straordinari (di cui Recoba fu protagonista molto marginale) e cocenti delusioni.

Ma al cuor non si comanda e Massimo Moratti ha amato Recoba più di qualsiasi altro campione passato per la Milano neroazzurra. Persino più di Ronaldo.

L’esordio con l’Inter fu eccezionale: al debutto, il 31 agosto 1997, Recoba segnò da subentrato la doppietta decisiva che permise all’Inter di rimontare e vincere la partita contro il Brescia. Poche settimane dopo risulta decisivo in Coppa Italia contro il Foggia e il 25 gennaio del 1998 si inventa il gol da centrocampo contro l’Empoli con cui entra definitivamente nel cuore dei tifosi neroazzurri.

Il ragazzo, per quanto immensamente talentuoso, è giovane e la concorrenza all’Inter è tanta, a partire proprio da quel Ronaldo con cui Recoba in teoria potrebbe formare un tandem d’attacco spaventoso. I neroazzurri, la stagione successiva, lo lasciano in prestito al Venezia dove Recoba incontra un allenatore come Novellino che gli permetterà di raggiungere la piena maturità calcistica.

El Chino contribuisce in maniera determinante alla salvezza dei veneti con 11 reti nel solo girone di ritorno, di cui si ricorda soprattutto una memorabile tripletta contro la Fiorentina: con questo biglietto da visita, Recoba è pronto per tornare a Milano e riprendersi l’Inter.

All’Inter si trova in competizione con gente del calibro di Vieri, Roberto Baggio, Ronaldo. E’ una squadra dalle potenzialità praticamente infinite. 

Per i neroazzurri è un’annata strana: partono da favoriti in campionato con la coppia Ronaldo-Vieri pronta a far tremare chiunque, ma è l’anno dei due gravissimi infortuni che minano la carriera del Fenomeno brasiliano e lo stesso Vieri è vittima di noie muscolari che spesso lo costringono lontano dal campo. Intanto la faida tra Lippi e Roberto Baggio destabilizza la tranquillità dello spogliatoio.

In questo clima non certo dei più sereni e con tanta e tale concorrenza, Recoba si ritaglia comunque uno spazio importante segnando 10 gol in campionato.

El Chino mette in mostra le sue migliori qualità (su calcio di punizione è una sentenza), ma anche tutti i suoi limiti. Spesso in campo è pigro, svogliato, si accende solo quando lo dice lui. La continuità di prestazioni dei primissimi anni di carriera e la frequenza con cui riusciva a trovare la via della rete sono una chimera.

Recoba segna gol straordinari quanto inutili e manca troppo spesso nelle partite importanti, quelle in cui il suo talento servirebbe all’Inter come l’aria per respirare: il Chino non ha mai segnato in un derby, né in una partita con la Juventus e nella storica semifinale di Champions del 2003 contro il Milan in campo fu praticamente un fantasma.

Nonostante la sua fastidiosa discontinuità, Recoba è amato incondizionatamente non solo dal presidente Moratti ma anche dalla stragrande maggioranza dei tifosi neroazzurri, perdutamente innamorati delle prodezze di cui solo il suo mancino sembrava essere capace.

Quando all’Inter arriva Mancini e si inizia a respirare l’aria delle prime vittorie, Recoba è ormai una riserva di lusso. Pur da comprimario, contribuisce comunque alla vittoria del campionato 2005-2006 con 5 reti in una ventina di presenze, molte delle quali da subentrato. 

La stagione successiva è l’ultima a Milano: arriva il secondo Scudetto consecutivo, ma Recoba vi contribuisce con solo una rete in 13 presenze e tante, troppe panchine. Arriva dunque il momento dei saluti: l’Inter è all’alba di tanti altri straordinari successi, di lì a non molto sarebbe arrivato Mourinho, il Triplete, ma Recoba non farà parte di quella squadra destinata ad entrare nella storia del calcio.

L’ultima rete in neroazzurro, scherzo beffardo del destino, è un’altra perla straordinaria e arriva proprio contro l’Empoli: un gol che è un marchio di fabbrica degli uruguaiani, direttamente da calcio d’angolo.

E’ la chiusura ideale di un ciclo che poteva essere molto più vincente di quello che è stato, è l’ultimo regalo al suo pubblico di un giocatore che ha fatto innamorare milioni di tifosi nonostante tutto.

 

Dopo un paio di stagioni opache tra Torino e Panionios, in cui sembra quasi aver perso la voglia di giocare a calcio, arriva la felice decisione di tornare a casa, in Uruguay.

Qui prolunga la sua carriera molto più del previsto, giocando fino alle soglie dei quarant’anni e vincendo da protagonista due campionati con quel Nacional grazie a cui si era imposto di prepotenza agli occhi del panorama calcistico internazionale.

Recoba è stato per tutti gli amanti del calcio (e per i tifosi neroazzurri in particolar modo) una favola d’amore bellissima ma incompiuta: ha illuso tutti, è riuscito a tratti a far ricredere perfino i suoi più acerrimi detrattori, ha spesso fatto strabuzzare gli occhi anche ai suoi avversari per le magie che regalava in campo, ma non è riuscito a diventare il giocatore che prometteva di essere, pur avendo tutte le carte in regola per affermarsi tra i migliori di sempre.

Nonostante abbia vinto relativamente poco, sia in Uruguay che all’Inter ha lasciato un segno indelebile e sarebbe ingeneroso ricordarlo solo come uno dei tanti talenti sprecati.

Recoba è l’espressione più genuina del genio calcistico e davanti al suo sinistro sublime ancora oggi è impossibile restare indifferenti.

 

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