Accostato nelle ultime settimane al Napoli, il bomber tedesco scioglie le riserve e ufficializza il ritiro. Ripercorriamo le tappe principali della sua straordinaria carriera.
Quando provo a spiegare a qualcuno il concetto di “attaccante d’area” di solito mi vengono in mente due o tre esempi: se il mio interlocutore ha qualche anno in più di me gli cito Paolo Rossi, se è della mia generazione Filippo Inzaghi o Miroslav Klose. Si tratta di quel tipo di attaccante che di rado diventa idolo dei ragazzini, perché apparentemente non possiede nessuna qualità particolare: non è appariscente e glamour come un Cristiano Ronaldo, non va a dribblare cinque difensori e la mette in rete come Messi, se ne sta spesso nascosto tutta la partita dietro i difensori avversari aspettando la palla giusta che a volte arriva e a volte no. Perché è questa la sua caratteristica: saper aspettare e punire l’avversario quando meno se l’aspetta. Gol di solito non belli, spesso banali o arrivati con un pizzico di fortuna, ma quasi sempre decisivi.
Una carriera strana quella di Klose: classe 1978, nato in Polonia ma trasferitosi in Germania nel 1986, tre anni prima della caduta del Muro. Il più grande cannoniere della storia dei Mondiali, capace di segnare la bellezza 71 gol con la Nazionale tedesca, di cui 16 ai Mondiali, è polacco. Ancora più insolito è il fatto che fino a 26 anni abbia vestito la maglia di una grande nobile decaduta del calcio tedesco, il Kaiserslautern, senza mai suscitare l’interesse di grandi club: qualche ottima annata, tanti gol (ma non troppi) in Bundesliga, però nessuna statistica tale da giustificare l’interesse dei grandi club.
La svolta arriva nel 2004 con la chiamata del Werder Brema, in quel momento uno dei pochi club tedeschi che poteva davvero pensare di impensierire il dominio del Bayern. In breve diventa bandiera del club, con cui vince anche il primo trofeo, una Coppa di Lega.
Tre anni, 63 gol e un titolo di capocannoniere della Bundesliga dopo, arriva finalmente la grande chance per Miro: il Bayern Monaco finalmente lo ha notato e lo porta in Baviera a 29 anni. Le prime due stagioni sono brillanti: Klose è il fulcro dell’attacco e segna gol a raffica: ben 41 nei primi due anni, ma poi subentrano i primi guai fisici e il Bayern è un club che non può concedersi il lusso di aspettare troppo i suoi giocatori. La terza e quarta stagione si concludono con appena 6 gol l’una e quindi per Miroslav è il momento dei saluti, dopo aver contribuito (soprattutto nel primo biennio) alla vittoria di ben sei trofei: due campionati, una Coppa di Lega, una Supercoppa e due Coppe di Germania.
A 33 anni qualcuno ipotizza che Klose stia per appendere gli scarpini al chiodo o, al massimo, che vada a svernare in qualche campionato arabo o negli Stati Uniti: le offerte, naturalmente, non mancano. Ma Miro sorprende tutti e sceglie di rimettersi in gioco in un campionato difficile come la Serie A e lo fa con la maglia della Lazio. Ben presto anche l’Italia si accorge delle straordinarie qualità del tedesco: in cinque anni realizza 54 reti in 139 partite di Serie A (63 gol in 171 presenze, considerate tutte le competizioni disputate con la Lazio), diventa una bandiera dei biancocelesti con cui si toglie anche la soddisfazione di vincere la storica Coppa Italia 2012-2013.
Ma è con la maglia della Germania che Klose si è tolto le più grandi soddisfazioni e si è assicurato a buon diritto un posto nell’Olimpo degli dei del calcio: quattro Mondiali disputati, 16 gol complessivi che ne fanno il massimo cannoniere della storia della più importante competizione del calcio, 71 reti totali con la maglia della nazionale tedesca di cui è diventato il primo marcatore di tutti i tempi.
Il gol simbolo della carriera di Klose, però, è l’ultimo con la nazionale: il classico gol alla Klose, una rete decisiva che arriva nel momento chiave di una partita destinata a restare per sempre nella storia del calcio.
Otto luglio 2014, nella splendida cornice di Belo Horizonte va in scena la semifinale Brasile-Germania: i tedeschi sono passati subito in vantaggio con Muller, ma decine di migliaia di brasiliani accorsi al Mineirao e decine di milioni in tutto il Brasile, stanno spingendo la Seleçao verso il pareggio. A questo punto entra in scena Klose. Un gol brutto, sporco e cattivo, che però arriva puntuale come il destino: Miro fa 2-0, taglia le gambe al Brasile e fa sprofondare il paese intero in un dramma collettivo. La partita finirà 7-1 per la Germania e passerà alla storia come il Mineirazo, la più grande umiliazione sportiva di sempre.
Cinque giorni dopo, Klose gioca la sua ultima partita con la nazionale tedesca nella finale contro l’Argentina di Messi, laureandosi Campione del Mondo a 36 anni. Il giusto epilogo di una carriera straordinaria.
Fino a poche ore fa, però, c’era chi si aspettava da Klose l’ennesima sorpresa: svincolatosi a giugno dalla Lazio, non aveva ancora annunciato il ritiro e nelle ultime settimane era stato accostato a più riprese al Napoli, orfano di centravanti e bisognoso di un bomber in grado di finalizzare il gioco dei ragazzi di Sarri.
Ancora una volta Miro ha battuto tutti sul tempo e, prima che potesse svilupparsi qualcosa di concreto, si è ritirato e ha annunciato che entrerà a far parte dello staff di Low. Klose è tornato a casa.
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