Una storia riscritta ancora una volta, oltre la leggenda, Rafael Nadal strapazza Novak Djokovic (6-0 6-2 7-5) nella finale del Roland Garros e conquista il tredicesimo titolo a Parigi in quindici anni, lo slam numero venti nella sua bacheca. Un capolavoro.
Un capolavoro tattico con Nadal che, su una terra rossa diversa dal solito, più umida, più pesante, meno disposta a restituire la rotazione alla palla, meno congeniale, sulla carta per lo spagnolo, ha smentito tutti dominando incontrastato senza perdere nemmeno un set.
Una dimostrazione, una volta di più, di gioco, di idee, di qualità tattica, su un terreno su cui è vero, non ha rivali, proprio grazie alle soluzioni che è sempre in grado di trovare, ieri impantanando il colpo migliore del suo avversario, fino a renderlo inefficace, quasi una debolezza.
Una palla più lavorata con parabola a salire, una palla più corta tagliata in mezzo al campo, poi una rapida, sempre diverse tra loro, sempre volte a togliere ritmo, punti di riferimento e sicurezza anche in quei colpi che Djokovic, da numero uno del mondo, esegue con naturalezza infinita.
Un capolavoro estetico perché la qualità anche tecnica dei colpi dello spagnolo, troppo spesso tremendamente sottovalutata, che trova nella terra rossa l’amante perfetto, si è rivelata ingestibile per il serbo, vittima di un numero enorme, atipico, di errori non forzati.
Un capolavoro fisico, un aspetto che, pensando a Nadal, ormai fatica a sorprendere, ma eccezionale in questo Roland Garros autunnale caratterizzato dalla pioggia, dal freddo, dall’umidità, da condizioni che all’inizio permettevano anche di pensare ad una possibile sorpresa e che, adesso, nobilitano ancora di più questo tredicesimo successo a Parigi, per lui il più difficile.
Lo scorso anno a Melbourne fu costretto a digerire una delle sconfitte più pesanti in una finale slam della sua carriera, ieri, su quel campo in terra rossa che l’ha visto crescere, maturare e diventare un campione, Nadal si è preso la sua rivincita come solo i fenomeni sanno fare.
“Hai dimostrato di essere il re della terra rossa e l’ho sperimentato sulla mia pelle” ha riconosciuto Djokovic congratulandosi con l’amico-rivale proprio come Federer, che adesso condivide con Nadal il record di major in carriera, una cifra incredibile come 20, emblema di un’epoca memorabile per questo sport.
Nell’inevitabile contrapposizione offerta da questo splendido duello, fin dall’inizio, fin dalle prime apparizioni sul circuito, vedendo i suoi muscoli, il suo strapotere fisico, superficialmente Nadal veniva associato al giocatore costruito, brutale, una macchina da guerra creata quasi a tavolino. Errore.
Ed eresia, adesso, sbagliarsi ancora. In quindici anni Nadal non ha mai perso l’occasione per dimostrare tutto quanto di straordinario c’è, in lui, oltre al fisico, dall’inesauribile grinta e fame di vittorie, fino alla lucidità tattica, mentale, dalla qualità tecnica, un po’ naturale, un po’ perfezionata, alla volontà ferrea di dimostrare sempre di essere il migliore.
100 vittorie a Parigi, 13 titoli sul rosso del Philippe Chatrier, 20 slam, 86 titoli in bacheca, primo giocatore del mondo, medaglia d’oro olimpica in singolo e in doppio, campione del mondo in Coppa Davis, re incontrastato della terra rossa, numeri che non trovano traduzione a parole.
Numeri che già adesso impressionano, numeri che stupiranno ancora di più a riguardarli in futuro quando accadrà di arrivare alla vigilia del Roland Garros con poche certezze perché ora, finché c’è Rafa, a Parigi vince lui, che sia giugno o che sia ottobre, con il sole o con la pioggia, sempre e soltanto lui.
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