Dopo aver perso finali contro colossi del mondo del tennis come Federer, Nadal e Murray, finalmente John Isner, a quasi 32 anni, trova la prima affermazione della carriera in un Master 1000.
È ancora il cemento nordamericano, come nella maggior parte dei suoi precedenti successi nel circuito ATP, a regalare grande gioia al gigante di Greensboro, in un torneo dove senza dubbio, non partiva con i favori del pronostico.
Solo quattro vittorie nel corso di una stagione che sapeva di possibile ultima chiamata ad alti livelli, stavano letteralmente gettando dubbi e perplessità sul futuro di uno dei giocatori più influenti, in questo decennio, per il tennis a stelle e strisce, ultimamente povero di campioni se paragonato agli storici fasti.
Ma Isner si era sempre contraddistinto per una indomabile forza di volontà che progressivamente, con la maturità, lo ha trasformato da semplice big server, ad un profilo tennistico più completo e brillante, con un gioco più ricco e vario nelle soluzioni.
Fino a qui, però, erano state solo delusioni a caratterizzare le sue apparizioni nei palcoscenici più prestigiosi con i ko in finale, in anni diversi, ad Indian Wells, a Cincinnati e a Parigi, fermandosi sempre sul più bello, vicino ma non abbastanza.
Forse la mancanza di pressione, la serenità della maturità, la consapevolezza di non avere, davvero, più nulla da perdere, ha permesso ad Isner, in questi dieci giorni in Florida, di resettare quanto successo fin qui nel 2018, e di ricominciare da capo.
Un percorso ricco di ostacoli, da Cilic a del Potro passando per Chung, che ha messo alla prova Isner arricchendolo di fiducia e stima, e che lo ha lanciato in una nuova finale in un Master 1000 in carriera.
Di fronte a sé, ha trovato Alexander Zverev, un ragazzo che per la prima volta lo scorso anno aveva bazzicato su questi palcoscenici, vincendo, a differenza di John, entrambe le finali disputate, niente di meno che contro Federer e Djokovic.
Come se non bastasse, i precedenti non lasciavano presagire grandi possibilità per Isner che aveva sempre perso, tre volte su tre, contro il ventenne tedesco, una volta proprio a Miami, lo scorso anno, in ottavi di finale.
Ma oggi, era la giornata di Isner, e l’esito apparentemente più probabile si è frantumato di fronte al dirompente gioco del gigante statunitense costretto a rimontare un set di svantaggio prima di imporsi nel successo più importante della sua carriera.
Un tie break pasticciato, non ha tramortito Isner che, con calma, lucidità e serenità, ha continuato a proporre il suo “gioco ingiocabile” al servizio, dominando a suon di ace o simili, e da fondocampo, dirompente come un tornado con il diritto a sventaglio.
I due 6-4 con cui ha rimontato la partita aggiudicandosi secondo e terzo set, sono stati il frutto anche di un colpevole calo al servizio da parte di Zverev che, nel nono gioco di entrambi i parziali, ha tremato di fronte alla aggressività di Isner, impeccabile nel cogliere le sue occasioni.
Non potevano che essere, infine, tre ace a consegnare il trofeo ad Isner, il tredicesimo della carriera, ma senza dubbio il più prestigioso, che vale anche il ritorno tra i primi dieci giocatori del mondo, e l’interruzione di un digiuno in Florida per i tennisti statunitensi che durava da 8 anni, dal successo di un certo signore di nome Roddick.
Probabilmente John non sarà l’erede di Roddick, né tanto meno dei vari McEnroe, Connors, Agassi e Sampras, ma la sua storia, che era già incredibilmente ricca e preziosa, oggi brilla un pochino di più, non solo per l’ambito trofeo, ma per l’evoluzione di un giocatore che da semplice gigante con un gran servizio, è diventato passo dopo passo un vero e proprio tennista.
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