Italia travolta dalla Norvegia e condannata ai play-off: tra delusioni, infortuni e un futuro da rifondare

Gattuso svela le scelte tattiche di Italia-Estonia
Gattuso - Stadiosport.it

Con la pesante sconfitta per 4-1 contro la Norvegia a San Siro, ogni residua speranza dell’Italia di qualificarsi direttamente ai Mondiali 2026 si è definitivamente spenta. Serviva un impossibile 9-0 per ribaltare la differenza reti, ma è stata la Norvegia – dominatrice assoluta del girone con otto vittorie su otto e 37 gol segnati – a prendersi la scena e il pass per USA, Canada e Messico.

Per gli Azzurri è una bocciatura dura, che li condanna al terzo play-off consecutivo, dopo le eliminazioni dolorose del 2017 contro la Svezia e del 2021 contro la Macedonia del Nord. Ora Gattuso dovrà spezzare la spirale di fallimenti e salvare la Nazionale dall’incubo storico di mancare tre Mondiali di fila.

Le stelle che non brillano: i big tradiscono la maglia azzurra

Il problema principale è sotto gli occhi di tutti: i migliori giocatori non rendono con la maglia dell’Italia. Contro la Norvegia, calciatori come Di Lorenzo e Bastoni sono apparsi lontanissimi dai leader visti a Napoli e Inter. Locatelli e Barella, solitamente il cuore del centrocampo, sono sembrati spenti e senza idee.

Quando la pressione si alza, ci si aspetta che i leader alzino il livello. Ma negli ultimi anni succede l’opposto: i nomi restano, le prestazioni no. Ecco perché si fa sempre più strada un concetto chiaro:
Gattuso deve premiare chi è in forma, non chi ha status e mercato.

Servono coraggio e meritocrazia, anche a costo di lasciare fuori i “senatori”.

L’unica luce a San Siro: Francesco Pio Esposito

Contro la Norvegia, in una partita già compromessa, Gattuso ha schierato un solo under 25 titolare: Francesco Pio Esposito, classe 2005 dell’Inter. Proprio lui ha segnato l’unico gol azzurro, il primo in Nazionale e il primo in carriera a San Siro. Un lampo che apre interrogativi:
perché non dare più spazio ai giovani che stanno esplodendo nei club?

Non solo Esposito: stanno facendo bene anche talenti come Fabbian, Kayode, Casadei, Koleosho, Baldanzi, oltre a giocatori esperti ma poco considerati in azzurro, come Berardi e Orsolini, protagonisti nei loro club.

Il dramma degli infortuni: una generazione spezzata

Oltre ai problemi tecnici e di mentalità, c’è un fattore esterno che sta minando il futuro della Nazionale: gli infortuni gravissimi che colpiscono i migliori talenti italiani.

Esempi emblematici:

  • Spinazzola, eroe di Euro 2021, giocò 8 partite in 4 anni dopo la rottura del tendine d’Achille.
  • Federico Chiesa, mai tornato davvero lo stesso dopo l’infortunio al crociato.
  • Giorgio Scalvini, fermato da un grave infortunio al ginocchio e continuamente rallentato da ricadute.
  • Giovanni Leoni, classe 2006, passato al Liverpool e subito out per rottura del crociato alla prima partita.

Sono talenti che rischiano di non esprimere mai il loro potenziale. Una Nazionale che non riesce a proteggere il suo futuro, finisce per vivere solo di rimpianti.

Serie A sempre più straniera: meno spazio agli italiani

Ultimo nodo, quello strutturale. Le squadre di Serie A puntano sempre più su stranieri, riducendo drasticamente lo spazio per i giovani italiani. In alcune formazioni, i titolari italiani sono appena uno o due. Così diventa difficile costruire una Nazionale competitiva.

Qualcuno propone di limitare gli stranieri, ma la strada è complicata:
i club vogliono restare competitivi in Europa e avere libertà di mercato.
È il famoso paradosso del calcio italiano:
per far crescere la Nazionale, bisognerebbe rallentare i club, ma per far crescere i club, si sacrifica la Nazionale.

La sfida di Gattuso: rompere il ciclo e ridare un’identità all’Italia

Ora tutto si deciderà a marzo. Gattuso dovrà fare scelte coraggiose, puntare su chi ha fame, su chi sta bene fisicamente e mentalmente, e costruire una squadra viva, motivata e meritocratica.

Non basterà difendere: servirà rinascere.
Non basterà convocare i nomi: servirà chiamare i leader.
E soprattutto, servirà credere che l’Italia possa ancora reagire come squadra, non come somma di individualità.

Il tempo dei rimpianti è finito:
ai play-off non si va con le promesse, ma con le certezze.

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