EURO 2020: abbiamo vinto perché siamo cambiati, rimanendo noi stessi

L’Italia ha vinto l’Europeo facendo trionfare la rivoluzione nel gioco voluta da Roberto Mancini, ma anche ritrovando il carattere e la solidità difensiva che ci hanno sempre contraddistinto.

Prima facciamo un passo indietro. Alla vigilia di EURO 2020 l’Italia non era considerata una favorita alla vittoria finale. Quell’onere spettava alla super Francia campione del mondo in carica, alla generazione d’oro del Belgio e un po’ più staccata alla talentuosa Inghilterra. Gli Azzurri partivano in quel gruppo di squadre di rango meno superiore, probabilmente capaci di svolgere un bel torneo, di fare bella figura, ma certamente non di andare a vincere.

I perché sono presto detti. La Nazionale di Roberto Mancini a livello di prestazioni, risultati e umore arrivava ad EURO 2020 in condizioni favorevoli. Girone di qualificazione all’europeo chiuso con 10 vittorie e 30 punti nel gruppo, Final Four nella Nations League e ottimo avvio alle qualificazioni mondiali con le prime tre vittorie, sommati a un percorso che ha visto la squadra perdere una sola partita ufficiale (1-0 contro il Portogallo nella prima edizione della Nations), da quando Mancini è commissario tecnico.

Ma c’erano de dubbi. Al netto di 2 sfide per parte con Portogallo e Olanda (1 vittoria, 1 sconfitta e 2 pari) e un’amichevole persa contro la Francia nel giugno 2018, gli avversari affrontati dall’Italia prima dell’Europeo non erano squadre di livello alto e la Nazionale non ha mai avuto difficoltà in partite dove partiva nettamente favorita.

Quindi mancava l’abitudine ai grandi match e ai grandi palcoscenici in un triennio avaro di grandi sfide. Esperienza che mancava anche allo stesso gruppo squadra. Tolti Bonucci e Chiellini, vincitori seriali di Scudetti, Verratti perno di una top europea come il PSG e Jorginho Campione d’Europa col suo Chelsea, molti della nazionale non avevano la giusta esperienza europea a certi livelli. Donnarumma era nei fatti, al primo vero appuntamento importante della carriera. Barella, chiave dell’Inter scudettata ma poco presente in sfide europee. E citiamo anche gli altri titolari come Insigne, Immobile, Chiesa, Berardi, Spinazzola, Di Lorenzo, Pessina, Locatelli. Chi per giovane d’età chi per carriera non inclini a sfide di peso.

E per finire il “problema” più evidente in campo. Sulla carta questa Nazionale non vedeva campioni affermati, fenomeni o star del calcio contemporaneo. Qualcuno sopra la media, buoni giocatori, vecchie volpi e qualche giovane dal potenziale crescente, ma per dirla semplice non avevamo l’attacco Mbappé, Benzema, Griezmann e il centrocampo con Pogba e Kanté. Non avevamo Lukaku supportato da De Bruyne e Hazard o la coppia Kane e Sterling. Una buona squadra ma senza talento sconfinato e con la pecca di non avere probabilmente un attaccante di alto livello rispetto alle altre.

Le previsioni anche quelle dei tifosi più ottimisti (anche di chi scrive) davano un‘Italia ai quarti di finale, risultato affatto non disprezzabile considerato da dove venivamo. Passare i gironi era d’obbligo, passare gli ottavi era un obiettivo serio, arrivare ai quarti significava affrontare una big e probabilmente uscire, cosa che appunto visto da dove venivamo, avremmo preso con dispiacere certamente ma anche con coscienza della realtà.

Invece EURO 2020 ha stravolto la realtà, l’ordinario (uscire contro una più forte) non è avvenuto ed è diventato straordinario. Partiamo dal principio. Il più grosso merito di questa impresa sportiva va diretto a Roberto Mancini. Chiamato a raccogliere, ricostruire, ripartire (e altri aggettivi) dopo il disastro Ventura e il fallimento dell’approdo al Mondiale 2018, il Mancio ha compiuto un semplice quanto cristallino cambio di rotta.

Creiamoci un’identità, un’anima di gioco, un’impostazione, un meccanismo che nella migliore delle ipotesi potrebbe essere perfetto. Dopo le prime uscite sperimentali, via i fronzoli. 4-3-3, doppio regista e l’idea del dominio del controllo del pallone, possesso palla come principale strumento offensivo, velocità movimento, scambi stretti e pressing in avanti per il recupero in zona alta. L‘Italia è anche altro, ma di base questa è stata la prima vittoria di Mancini. Non ci ricordiamo a memoria, una Nazionale che giocasse con un’idea così chiara, anche quelle dei Totti e Del Piero. Anche la Nazionale 2006 non ce la ricordiamo per lo spettacolo. C’erano solidità, gruppo, tutte cose in comune con questa Italia, ma non un’identità chiara.

Questi i presupposti, ora mettiamoci il contorno. Per un’impresa, per qualcosa di inaspettato serve che accadano cose che non dovrebbero accadere. Così la Francia super favorita pecca d’arroganza e si fa fregare dalla coriacea Svizzera e va fuori agli ottavi, il Belgio si scioglie quando non deve, il Portogallo cade vittima della sua inconsistenza, la Germania conferma che è nella zona grigia tra passato e futuro e l’Inghilterra crolla sotto il peso delle aspettative, non supportati da un tenuta mentale degna.

Invece la coerenza italiana, la macchina costruita da Mancini non fiammeggiante come le altre ma con tutti i pezzi al posto giusto si va a prendere l‘Europeo, confermando i pregi, limitando i difetti e riscoprendo abilità. La fase a gironi giocata all‘Olimpico è più tesa per noi spettatori che per i giocatori e fila via liscia. 3-0 a Turchia e Svizzera, 1-0 al Galles. 9 punti. Con l‘Austria agli ottavi forse la nostra partita più complicata. A Wembley per la prima volta, la macchina non va, la paura entra nel motore, ma il carattere no. Due colpi cinici nell’extra time e prossimo turno.

Eccolo il turning point. Il quarto di finale col Belgio. Vabbé dai, abbiamo fatto quello che dovevamo, andiamo a casa. A Monaco all’Allianz Arena, primo tempo dove si domina per gioco e ritmo. 2-0, dimezzato a fine parziale solo da un rigore. Nel secondo tempo ritroviamo la nostra cara solidità difensiva. Si soffre ovviamente, ma si resiste. Semifinale.

Carattere, identità di gioco, solidità difensiva, Mancini formato zen che fa il carico di lucidità e calma. Al penultimo atto c’è la Spagna. Nel primo atto torna la paura, riaffiorano timori, non siamo abbastanza forti, non siamo abituati a queste sfide, col Belgio ci è andata bene. Ancora a Wembley per la seconda volta e non c’è questo grande gioco. Ma non c’è mai improvvisazione e c’è sempre voglia. Si va in vantaggio, si prende il pari meritato della Spagna. Supplementari e rigori: siamo più freddi e bravi, finale. Ci credete?

Lo sapete ormai, la memoria è fresca. Contro l’Inghilterra a Wembley (ancora? eh sì). Andiamo sotto dopo due minuti, il primo tempo è difficile, non giochiamo bene. Ma non è finita. Torna il carattere, quello che non ha chi non vince dal 1966. E torna l’identità, l’ancora di salvezza contro il caso, contro l’imprevisto. L‘Italia gioca e sa come si fa, mai in questo europeo abbiamo visto una Nazionale in crisi di idee. Può aver funzionato meno il piano in qualche partita (conto Austria e Spagna), ma ce lo abbiamo sempre avuto.

Il pari italiano agli inglesi ha lo stesso effetto che ha avuto il pugno di Rocky a Ivan Drago in Rocky IV. Terrore e perdita di certezze. Il gioco è tornato, il carattere e la difesa sono sempre stati lì. Siamo l’Italia è nel DNA, e li abbiamo riscoperti in questo europeo. Altri supplementari e serie pazza di rigori, Italia Campione d’Europa. Grazie Southgate, che inserisci due fenomeni come Sancho e Rashford solo al 120′ per fargli battere i rigori, Grazie Donnarumma, grazie Mister Mancini, grazie Italia.

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