Esclusiva Stadiosport- Marco Nappi :”Il Genoa è dentro di me. Ai miei ragazzi dico sempre di giocare con il cuore”

In esclusiva ai microfoni di Stadiosport.it, Marco Nappi, ex attaccante con una grande carriera trascorsa in gran parte tra Serie A e B, vestendo le maglie di Arezzo, Genoa, Fiorentina, Brescia, Udinese, Spal, Atalanta, Ternana e Como. Oggi allena la Beretti del Livorno, con cui si è laureato da poco campione d’Italia.

E’ sempre rimasto legato a Genova, dove attualmente vive con la sua famiglia, infatti nel capoluogo ligure ha vissuto sette anni stupendi da calciatore con la maglia Genoa, divenendo una bandiera e idolo della curva del “Grifone”rossoblu. Con lui abbiamo parlato di tanti argomenti, in particolare della sua impresa con i giovani del Livorno,  del suo Genoa, del rapporto con Roberto Baggio a Firenze e ci ha raccontato inoltre come è nato  il suo soprannome  “foca monaca”.

Ciao Marco, tra le tante piazze  girate nel corso della tua carriera c’è sicuramente quella di Firenze, che ti ha consentito di esordire nella massima serie. In quella Fiorentina giocavi con Roberto Baggio , come era il tuo rapporto con lui ?

“Avevo un rapporto stupendo con Roberto, insieme ci divertivamo molto, era un tipo a cui gli piaceva scherzare, a prescindere poi dal grandissimo giocatore che è stato”.

A Firenze eri denominato la “Foca Monaca” per i tuoi numerosi palleggi di testa in corsa, come è nata questa giocata ?

“Mi fu dato questo soprannome dopo la sfida della semifinale di Coppa Uefa contro il Werder Brema, in quell’occasione c’era da conquistare la finale, dovevo allontanare il pallone dalla nostra area e ci riuscì con questa giocata nata d’istinto, facendo questi palleggi di testa per tanti metri del campo, ma non c’era nulla di preparato e tanto meno mi ero allenato.  In ogni caso sono stato il primo giocatore a esibire questa giocata, nessuno dei fenomeni attuali  l’ha mai fatta, quindi ho l ‘esclusiva (sorride)”.

 

Sicuramente la maglia del Genoa è quella a cui sei più legato, dopo l’ultima stagione sofferta e qualche problema societario, pensi che i “Grifoni” rossoblu si potranno rilanciare?

” Genova è la città dove sono nate le mie figlie e vivo con la mia famiglia. La maglia rossoblu è nel mio cuore, ho passato sette anni stupendi, ricordo con tanta gioia la promozione in A nella stagione 1988-1989. E’ stata la società dove ho giocato più anni in carriera per non parlare della tifoseria che mi ha fatto diventare il loro idolo. Il Genoa per rilanciarsi, dovrà sperare nel presidente Preziosi anche se sono tantissimi i 60 milioni di debiti, però se ogni anno vendi i migliori giocatori e poi non riesci a ripartire con un programmazione precisa allora evidentemente i problemi sono ben altri”

Una società dove tu hai giocato e potrebbe essere un esempio da seguire per tutti è certamente l’Atalanta, sei d’accordo ?

“Nell’Atalanta ci ho giocato due stagioni e lì avevamo ragazzi provenienti dalla Primavera come Pellizzoli, Bellini, i gemelli Zenoni, Donati e Pinardi. In quelle due stagioni vincemmo il campionato di B e arrivammo l’anno successivo sesti in A, all’epoca era un campionato molto forte e affrontavi grandi giocatori. Quest’anno hanno confermato la loro tradizione di avere un gran settore giovanile, conquistando meritatamente la qualificazione in Europa League, ciò vuol dire che con i giovani puoi raggiungere grandi obiettivi”.

Come vedi il prossimo campionato di Serie A, la Juventus dominerà ancora?

“Bisognerà vedere come staranno fisicamente i vari Buffon, Bonucci, Chiellini e Barzagli, purtroppo non sono eterni e dovrà iniziare a ringiovanirsi la Juventus anche se ha la difesa più forte del mondo. Rugani è già pronto perché è da anni che è con i bianconeri, ma puntare troppo in fretta su Caldara potrebbe essere un azzardo dopo solo un anno di A nell’Atalanta, tenendo conto che dovrebbe sostituire campioni d’esperienza e che hanno vinto tanto . Alla Juve sei obbligato a vincere subito senza aspettare nessuno”.

Il nostro campionato non è più ai livelli di quando giocavi tu, ora invece  la Serie A è diventato un campionato di secondo ordine, tu cosa ne pensi ?

“Io ho giocato quando era una Serie A formata da grandi campioni e sono fiero di aver giocato in quel calcio. Oggi invece si è abbassato il livello tecnico, tanti di questi giocatori dieci o quindici anni fa non sarebbero entrati neanche negli spogliatoi. Ai miei tempi c’era una gavetta tosta e arrivare in Nazionale era una chimera mentre oggi ci arrivano con molta più facilità e in più hanno anche dei contratti e  degli ingaggi superiori rispetto a quelli che avevamo noi, che giocavamo prima di tutto con il cuore”.

Nel corso della tua carriera da allenatore, a parte l’esperienza in Serie D con i calabresi del Montalto, hai sempre allenato nei settori giovanili, dove quest’anno hai conquistato lo scudetto con la Beretti del Livorno. A questi livelli la figura dell’allenatore è più quella di un educatore oppure no?

“Un giorno un genitore mi ha chiamato, chiedendomi se io facessi l’insegnante di calcio o l’educatore, io gli risposi che io insegno calcio, non  il calcio giocato, ma la vita del calcio. L’educatore l’ho fatto molto bene con le mie figlie, con la più grande che sta per prendere la seconda laurea mentre la più piccolina sta per diplomarsi e già ha superato le selezioni per iscriversi alla facoltà di medicina della Cattolica. Quest’anno con la Beretti del Livorno abbiamo compiuto una grande impresa, vincendo lo scudetto, perché ho detto ai miei ragazzi di giocare col cuore. In questa stagione avevo 19 ragazzi tra cui alcuni provenienti dagli allievi e quattro dei miei giocatori sono stati anche convocati per partire in ritiro precampionato con la Prima squadra. Nessuno credeva a questa impresa tranne che io, infatti dissi ai ragazzi che se avessimo vinto il campionato mi sarei fatto un tatuaggio e ora me lo faccio ben volentieri (sorride). Ho visto crescere questi ragazzi  e ora sta a loro cogliere queste occasioni, consapevoli che più avanti potranno incontrare difficoltà di vario tipo e dovranno essere bravi a reagire”.

Domenica sera l’Italia ha vinto in maniera agevole a Udine contro il Liechtenstein, pensi che nello scontro diretto con la Spagna, gli azzurri possono compiere l’impresa?

“La Spagna vista oggi fa davvero paura e di certo non sarà semplice, però l’Italia questo tipo di gare le sa affrontare nel modo giusto abituandoci a dei miracoli, quindi penso che l’impresa possa essere possibile per gli azzurri”.

In questi giorni si è letto di un tuo possibile incarico come allenatore della prima squadra del Livorno, confermi ?

“Non confermo, ma è probabile, se dovesse essere così io sarei subito pronto per questa nuova avventura. Io ho consegnato il trofeo dello scudetto al presidente Spinelli e aveva gli occhi che gli brillavano di gioia, lo ringrazio per l’opportunità che mi ha dato nel sviluppare il mio lavoro dopo tanta gavetta”.

Gira la voce che il presidente Spinelli possa vendere la società livornese, è vera questa notizia?

“Si parla di una cordata, ma se non arrivano acquirenti che diano le giuste garanzie lui non cederà la società, anche se a Livorno è contestato, lui tiene molto al club e ci mette tanta passione. Nei suoi anni ha portato la squadra in A, dove un anno si è anche qualificato in Coppa Uefa e all’epoca era ancora un campionato di grande livello. Poi è un grandissimo imprenditore che si è fatto dal nulla e nonostante l’età continua ancora a seguire la sua azienda con voglia e tanto entusiasmo”.

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