Esclusiva Stadiosport – Aldo Milani (Mental Coach Tennis): ”La paura di vincere non può essere combattuta, ma solo gestita”

Aldo Milani, Mental Coach per tennisti e tenniste, ha rivelato i segreti della propria professione in esclusiva ai microfoni di Stadiosport.it

Aldo Milani è un mental coach che segue i tennisti. In questa interessante intervista concessa in esclusiva ai microfoni di Stadiosport.it. parla di come è possibile intraprendere la strada per diventare mental coach. Non esiste una strada ben delineata ma bisogna dotarsi di tanto impegno e tanta voglia di fare. 

Interessante come un mental coach riesca a canalizzare determinati sentimenti negativi in positivi pertanto utili a migliorare la performance dell’atleta. Non trova alcuna differenza tra tenniste e tennisti mentre considera netta la differenza tra junior e senior. I junior sono caratterizzati sino ai 12 anni da puro talento e sregolatezza in quanto non si è ancora formata la cosiddetta neo corteccia che presiede alla formazione della razionalità. 

Il lavoro che Aldo svolge con i tennisti si svolge ciclicamente quando gli atleti sono lontani dai tornei. Aldo inoltre ci confessa che segue atleti anche di altre discipline.

Raccontaci il primo contatto che hai avuto col tennis.
“Il tennis è stato il primo sport che ho praticato ed amato. Mio padre è stato un buon tennista a livello regionale ed io spesso lo seguivo nei suoi tornei o negli allenamenti, sempre con la mia racchettina in mano, in casa mia si viveva di pane e tennis. Ho iniziato a giocare seriamente all’età di dieci anni presso il T.C. Garden di Roma prima nella SAT e poi nell’agonistica, ero abbastanza abile ma smisi presto. Fin da giovane capii l’importanza dell’aspetto mentale nello sport ed in particolar modo nel tennis e quindi decisi d’intraprendere un percorso di documentazione e di studio che dura tuttora”.

Quando hai capito che poteva diventare un lavoro?
“Onestamente ho sempre considerato il tennis come una grande passione e non come un lavoro, anche oggi che per me potrebbe essere una fonte di sostentamento, un lavoro a tutti gli effetti, continuo a viverlo come una passione”.

Se voglio diventare un mental coach, cosa devo fare?
“Ad oggi non esiste legislazione sportiva che regoli la figura professionale preposta ad operare in modo esclusivo in ambito mentale. Per quanto mi riguarda, tra le varie certificazioni, sono iscritto all’Albo dei Mental Coach di Certificate Mental Coach Italia, ma aldilà dei titoli di studio o degli attestati, per essere appropriato al ruolo devi studiare e documentarti continuamente. Il mental coach lavora sul funzionamento del cervello, usa tecniche derivate dalle neuroscienze e neurobiologia quindi la conoscenza di tutto quello che è afferente alla sfera cerebrale/mentale è imprescindibile. Devi provare e riprovare le tecniche che studi prima su te stesso per poi trasmetterle agli atleti. Devi conoscere molto bene lo sport dell’atleta che stai supportando per essere in grado di contestualizzare gli aspetti teorici nella pratica di un gesto tecnico, in un contesto agonistico altamente competitivo, attraverso il lavoro quotidiano sul campo. In ultimo e non per importanza occorre avere una dote che reputo essere essenziale per chi si accinge a svolgere attività di coaching, l’empatia, cioè la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui, l’abilita di entrare nei sentimenti dell’altro, senza di essa tutto il bagaglio di conoscenze, diplomi e targhe serve a poco o nulla”.

In cosa un mental coach può essere utile ad un tennista?
“In tutto quello che è il suo percorso di crescita sportiva ed umana. Dobbiamo considerare che tutto quello che facciamo, dalla minima contrazione muscolare al gesto tennistico più complesso, o quello che pensiamo, che crea le nostre abitudini che formano il nostro carattere, dipende dalla nostra mente. Pertanto capire come questa funziona, sapere come calmarla, come indirizzarla nel presente nel “qui ed ora”, come concentrarsi efficacemente, come gestire le emozioni in maniera adeguata, offre al tennista un vantaggio competitivo enorme. Questo i professionisti l’hanno capito da tempo”.

Come si può combattere la famosa paura di vincere?
“La paura così come la rabbia, la frustrazione, la gioia, la tristezza sono definite emozioni primarie, queste fanno parte del nostro corredo cromosomico, sono nel DNA di ognuno di noi, quindi non possono essere eliminate o ignorate. La paura è un emozione stressante ed è quella che più incide in maniera negativa sulla prestazione sportiva sia dal punto di vista fisico che mentale. La paura di vincere come quella di perdere non può essere combattuta, deve essere gestita nella maniera più appropriata al fine di farla diventare un arma a nostro favore. Una leggenda del tennis come Rod Laver a tal riguardo disse “Tutti quanti abbiamo il braccetto. Ci sta. Non siamo macchine. Ciò che devi imparare è accettare il fatto e non entrare nel panico. E’ il panico che ti fa perdere le partite, non i nervi.” A mio avviso una corretta respirazione, l’essere concentrati nel presente, non vagare con la mente verso quello che è stato o quello che sarà, può essere d’aiuto al tennista per tenerla a bada”.

Che differenza trovi tra tennisti senior e tennisti junior nella tua professione?
“Nel tipo di lavoro che traguarda una crescita delle abilità mentali di un atleta junior, occorre tener conto del differente livello evolutivo del cervello. Secondo la teoria di Mac Lean “la teoria del cervello tripartito” lo sviluppo della neo corteccia, cioè l’area del cervello che presiede la razionalità, quella che comunemente chiamiamo mente, non avviene prima del dodicesimo anno d’età. Pertanto non è possibile razionalizzare i processi d’insegnamento come faremmo con un adulto ma dovremmo invece tener conto che i bambini apprendono a livello istintivo ed emotivo privilegiando quindi l’esempio, il modello piuttosto che la spiegazione”.

Che differenza trovi invece tra tenniste e tennisti?
“Per quanto mi riguarda non trovo nessuna differenza”.

Spiegaci dove lavori e con quali tennisti.
“Non lavoro in esclusiva per nessun circolo, sto seguendo alcuni giovani di quarta e terza categoria ed allo stesso tempo mi sto dedicando anche ad altre discipline sportive”.

Infine, come si svolge la tua giornata?
“Io credo che il lavoro di qualità in ambito mentale debba essere impostato in maniera ciclica, definendo cicli di lavoro di diversa durata ed intensità, distribuiti nell’arco temporale della stagione tennistica. Generalmente quando mi accingo a lavorare con un atleta agonista concentro le sessioni ed i carichi di lavoro maggiori nella fase di pre season, quando l’atleta è in fase di preparazione ed è scarico da tornei. Per due settimane, compatibilmente con le esigenze del tecnico e del preparatore atletico, svolgo sessioni di lavoro giornaliero della durata di 2-3 ore, la parte teorica nella mind room e la parte pratica in campo. In questa fase della preparazione mentale, la più importante, si lavora sulla gestione degli stati attentivi (focus, attenzione, concentrazione) sulla gestione degli stati emotivi (paura, ansia, rabbia, etc.) si lavora sul self talk positivo, definizione degli obiettivi e viene posto in essere quel set di rituali ed ancore che spesso vediamo fare ai professionisti durante i loro match. Prima dell’inizio della stagione agonistica un altro ciclo di lavoro settimanale con carico più blando. Poi durante la stagione programmo dei mini cicli di lavoro ed appena possibile vado a visionare i miei atleta in torneo”.

Adamo Recchia © Stadio Sport

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