Esclusiva – Giuliano Bufacchi: “La mia squadra ha cambiato il mio modo di pensare e di vivere”

Stadiosport intervista in esclusiva Giuliano Bufacchi, coach della Nazionale italiana di basket con sindrome di Down, laureatasi tre volte campione del mondo e due volte campione d’Europa: “Come in ogni sport è fondamentale la coesione di ogni componente. Per lo sport Paralimpico mi aspetto maggiori finanziamenti”.

C’è un’altra Italia che brilla in questo biennio ricco di soddisfazioni per lo sport “Azzurro”: è la Nazionale di basket con giocatori affetti da sindrome di Down, che a Funchal, sull’isola di Madeira (Portogallo) si è di recente aggiudicata il titolo mondiale battendo l’Ungheria per 36-12.

Nata nel 2017, e posta sotto l’egida della FISDIR (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali) questa squadra ha saputo letteralmente conquistare il mondo intero, imponendosi in tutte le edizioni di Europei e Mondiali sin qui disputati, e offrendo una grande lezione agli occhi di chi la segue e l’ammira: ciascuno, se posto nelle giuste condizioni, può raggiungere, con impegno e fatica, traguardi straordinari

A pochi giorni dall’ultimo trionfo mondiale, avvenuto lo scorso 2 ottobre, Stadiosport ha raggiunto Giuliano Bufacchi, il demiurgo di quesa autentica macchina da guerra, che cinque anni fa ebbe incarico dalla Federazione di reclutare i migliori giocatori affetti da sindrome di Down, per poi creare un progetto che, in così poco tempo, ha raggiunto risultati che lo inseriscono di diritto nell’antologia dello sport italiano.

Mister Giuliano Bufacchi (a destra) con Fabio Tomao (a sinistra) giocatore del Basketball Forever e della Nazionale. Foto dall’account Facebook dell’intevistato

Innanzitutto coach, complimenti per la vittoria conseguita al Mondiale. È il terzo titolo iridato per voi, ma lei lo ha definito “Il più bello”: ci può spiegare perché? Quali sono state le emozioni di questa tre giorni a Madeira?

Sicuramente questa edizione del mondiale è stata molto competitiva e con nuove squadre che si sono affacciate a questa realtà, la formula completamente diversa che non permetteva di sbagliare neanche una partita per evitare soprese, la crescita del gioco sia da parte nostra ma da parte di tutte le squadre, ha reso questa edizione particolarmente bella e difficile, inoltre avevo rivoluzionato la squadra, sostituendo due senatori, quindi riconfermarsi con una squadra sempre più giovane ha reso tutto bellissimo e ci dà grandi garanzie per il futuro”.

A proposito di vittorie, siete una squadra che ha dimostrato ampiamente di saperci fare: tre Mondiali e due Europei nelle cinque edizioni disputate; una sola sconfitta incassata negli ultimi dieci incontri affrontati in tali competizioni; un dominio assoluto, insomma: ci può raccontare com’è nato e si è sviluppato questo straordinario progetto, e cosa l’ha spinta ad abbracciarlo in prima persona?

Questo progetto nasce nel 2017, precedentemente la sindrome di down era compresa tra le disabilità intellettive, quindi giocavano insieme ad autistici e DSA, ma la differenza fisica era troppa, nel 2017 è nata l’ IBA21 la federazione internazionale del basket per sindrome di down, e la FISDIR (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali) mi ha chiesto di creare una prima nazionale per il primo europeo e da li è partito tutto, ho imparato a lavorare con loro considerando il tutto come “una categoria” come può essere la seria A, serie B, giovanili, per me era la categoria IBA21 Ho lavorato cercando di ottenere il massimo dal potenziale a disposizione e scopro ogni volta che questo massimo è sempre più lontano da raggiungre quindi i margini di crescita sono altissimi“.

Ho visto sul suo profilo social una foto che mi ha emozionato: lei abbracciato ad un suo giocatore, Fabio Tomao, la sera dopo la prime vittorie contro Ungheria e Arabia Saudita. Le chiedo quanto sia importante l’aspetto di cura, oltre a quello puramente tecnico, per questi ragazzi, e quanto questi ragazzi l’hanno arricchita umanamente.

Come in tutti gli sport, il gruppo ( giocatori e staff) è fondamentale e deve essere unito e coeso, come lo siamo io e i miei due assistenti Mauro Dessì e Francesca D’erasmo, i ragazzi vedono questa sinergia e la seguono, è normale che ci sono momenti “coccole” e momenti in cui esiste il distacco giocatore e allenatore. Umanamente mi arricchiscono sempre di più sia per quello che mi danno in termini di risultati, grazie e con loro ho potuto vincere tre mondiali non è cosa da tutti giorni, e da quando comunque li seguo è cambiato il mio modo di pensare, di vivere, mi hanno insegnato intanto a sorridere sempre, e poi prendere la vita con la giusta leggerezza”.

Nel suo staff figurano altri due allenatori, Francesca D’Erasmo e Mauro Dessì: come si integra il vostro lavoro e quali competenze, sia tecniche ciascuno apporta nell’approccio a questi ragazzi?

Come dicevo prima con Mauro e Francesca c’è un unione totale sia di pensiero che di approccio alla pallacanestro, ci completiamo. All’inizio eravamo Mauro ed io, Mauro ha una grande esperienza umana e lavorativa con i ragazzi con sindrome di down, io ho esperienza tecnica di pallacanestro, io ho imparato ee sto imparando da lui ad interagire con i ragazzi, e Mauro sta imparando da me come lavorare sul campo, lo scorso anno di è aggiuta Francesca che è sia un allenatrice di Basket che un esperta di disabilità sportiva, e con lei abbiamo chiuso il cerchio delle competenze. Inoltre tra noi c’è una grande amicizia che rende tutto più facile“.

Durante questi Mondiali, che sotto il profilo dei risultati avete dominato, vi sono stati dei momenti di difficoltà: lo svantaggio patito nel terzo quarto contro il Portogallo, o l’inizio in salita nella finale contro l’Ungheria. Come riuscite a gestire i momenti di difficoltà? Qual è il miglior approccio da adottare per trasmettere i propri concetti alla squadra in quei momenti?

“I momenti di difficoltà ci sono in ogni partita è lo sport, li affrontiamo come in ogni partita di basket, trovando contromisure e spiegandole con tranquillità ai ragazzi durante i time-out, la comunicazione deve essere efficace, poche parole ma che siano chiare e precise ( e poi il resto è un segreto altrimenti gli avversari ci studiano“.

A proposito di gestione: quali sono gli aspetti più difficili da allenare in un contesto come quello che si trova a dirigere?

Quanto possono essere diverse e come si impostano le sessioni di allenamento? Il nostro approccio è quello di allenare una squadra di pallacanestro, come ogni allenatore ci adattiamo a quello che abbiamo a disposizione e ne tiriamo fuori il massimo, l’unica differenza è quella dei ritmi di allenamento non possono essere alti come una squadra normo, ma il resto è identico“.

Il suo è un gruppo che ha vinto molto ma ha cambiato poco in questi anni. Penso a Vincenzo Puglia, reintegrato dopo essere stato protagonista del primo trionfo azzurro nel 2017: quanto è importante, anche per l’assimilazione dei principi di gioco, che questi ragazzi si conoscano bene a vicenda e stiano molto a contatto tra di loro? C’è un leader che, nello spogliatoio e in campo, riesce a caricare e trascinare i compagni?

“In realtà stiamo ringiovanendo la rosa, infatti sono usciti due senatori quest’anno, il ritorno di Puliga è perchè ha lavorato dal 2017 ad oggi ed ha meritato di tornare, abbiamo altri ragazzi giovani sotto osservazione che sicuramente inseriremo nel gruppo una cosa importante è che chiunque viene in nazionale è accolto da amico e compagno da parte di tutti, se la base è solida, se lo staff è solido è tutto facile. Veri e propri trascinatori non ce ne sono, si aiutano e si trascinano insieme, è bello anche questo ognuno sa quale è il suo ruolo ad esempio Davide sa che deve segnare, Alex sa che deve difendere…quindi sanno dove possono dare il massimo oltre al resto“.

Il vostro è un movimento che promuove l’inclusione, ed è in grado di annullare qualsiasi barriera, mostrando che ogni difficoltà può essere superata attraverso il lavoro, e ogni preconcetto sconfitto attraverso la conoscenza: alla luce di ciò, che significato ulteriore assume un’Arabia Saudita che, pur tenendo in conto le tante difficoltà organizzative che ne hanno decimato l’organico, si presenta al Mondiale con sole donne in squadra?

Un grande significa, un messaggio di esserci nonostante tutte le difficoltà, di entrare in un circuito mondiale e soprattutto con tutte ragazze, è una cosa che veramente ripaga tutte le nazioni del lavoro che stanno facendo”.

Ultima domanda: cosa si aspetta per il futuro di questa Nazionale e di tutto lo sport paralimpico?

Mi aspetto una crescita, ma per crescita intendo anche finanziaria, purtroppo senza adeguati finanziamenti non è possibile poter lavorare e dare opportunità a tanti ragazzi, questa nazionale ha tanti anni ed eventi avanti ma ha bisogno di un supporto economico ( come tutto lo sport paralimpico) per poter far crescere non solo la nazionale ma tutto il movimento, la base, altrimenti i giocatori non si formano”.

Gennaro Iannelli © Stadio Sport

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