Esclusiva – Bortolazzi: “Vi racconto la mia carriera tra Fiorentina, Milan, Parma, Liedholm, Sacchi, Bagnoli, Genoa, WBA e vice Donadoni”

Mario Bortolazzi, ex centrocampista di Mantova, Fiorentina, Milan, Parma, Verona, Atalanta, Genoa, West Bromwich, Lecco e Livorno, ci racconta della sua carriera, dall’esordio, fino all’arrivo al Milan e alle soddisfazione in maglia Genoa e alla grande amicizia con Roberto Donadoni. Tante curiosità e aneddoti in esclusiva ai microfoni di StadioSport.it.

Mario Bortolazzi nella sua carriera ha tenuto a battesimo il Milan di Sacchi e ha raccolto grandi soddisfazioni con il Genoa allenato da Osvaldo Bagnoli. Il Rapporto di amicizia e lavorativo con Roberto Donadoni è proseguito in tutte le varie panchine occupate dall’ex centrocampista rossonero.

Come si è avvicinato al calcio Mario Bortolazzi?

B: “Come tanti bambini della mia generazione giocando in strada e nei campi di calcio della Parocchia, com’era consuetudine in quegli anni”.

Chi era il suo idolo da bambino?

B: “Non avevo un idolo in particolare. In quel periodo ricordo che c’erano Mazzola, Rivera, Causio. Questi erano i calciatori più popolari del periodo e io li seguivo”.

Cosa le ha lasciato il biennio di Mantova?

B: “Mi ha lasciato tanto e mi ha dato la possibilità di entrare a far parte di una famiglia. Il Mantova mi accolse come un figlio. Gli allenatori e i dirigenti del periodo mi hanno trattato veramente bene. E’ un bel ricordo”.

Dal 1982 al 1985 lei gioca con la maglia della Fiorentina, in mezzo a tanti campioni come Cuccureddu, Passarella, Antognoni, Galli ecc. Come si interfacciavano loro verso voi giovani?

B: “Prima che campioni erano persone semplici, che non facevano pesare la loro popolarità e il loro successo. Verso noi giovani si comportavano in maniera molto semplice”.

Nel 1985 si trasferisce al Milan, alla corte del “Barone” Liedholm. Come lo descriverebbe?

B: “Confermo le descrizioni fatte dagli altri. Era una persona molto carismatica, che difficilmente alzava la voce, ma si faceva capire e rispettare. Dava molta tranquillità e serenità grazie al suo atteggiamento. Ovviamente era anche molto sarcastico e umoristico, aveva sempre la battuta pronta e cercava di sdrammatizzare le situazioni che potevano risultare pesanti”.

Nella stagione 1986/87 va in prestito al Parma e lì c’è l’incontro con Arrigo Sacchi. Si vedeva già ai tempi che sarebbe stato un rivoluzionario?

B: “Sacchi lo avevo già avuto nella primavera della Fiorentina, nella stagione 1983/84. Avevo già avuto modo di conoscere le sue metodologie e idee calcistiche. Già all’epoca per noi giovani sembravano un pò strane e diverse da quelle degli altri allenatori. Il tempo però gli ha dato ragione sulle metodologie di allenamento e sulla sua nuova idea di calcio”.

Com’era interfacciarsi con una personalità come quella di Silvio Berlusconi?

B: “Sinceramente non ho avuto tante occasioni per interfacciarmi con Berlusconi. Ricordo però che quando si presentò a Milanello, la prima volta da proprietario del club, con il fratello Paolo, aveva già le idee chiare su quello che avrebbero voluto fare del Milan. Vale a dire portarla ad essere una delle squadre più forti, in Italia, in Europa e nel Mondo”.

Quale fu il segreto del Milan di Sacchi?

B: “Il segreto fu quello di trasmettere le idee a dei calciatori importanti come potevano essere Baresi, Tassotti, un giovane Maldini, Ancelotti, Donadoni, Virdis ecc. Atleti che avevano diversi campionati alle spalle, però con un calcio diverso. Sacchi riuscì a trasmettere a questi campioni le sue idee di calcio e questo permise al Milan di essere vincente per diversi anni. In quel periodo erano pochi gli allenatori con quelle idee rivoluzionarie, c’era Galeone, oltre a Zeman che era agli inizi. Sacchi diede il via ad una rivoluzione del calcio italiano”.

In quel Milan lì, quali calciatori la stupirono dal punto di vista tecnico?

B: “Già nel Milan di Liedholm ebbi la fortuna di giocare con calciatori come Baresi, Tassotti, Virdis, Paolo Rossi. In quel periodo c’erano altri due grandi calciatori come Wilkins e Hateley. Poi nel 1987/88 giocai con Donadoni, Evani e ovviamente l’arrivo di Gullit e Van Basten permise al Milan di aumentare il proprio tasso tecnico di fuoriclasse”.

Come descriverebbe dal lato umano e tecnico i due Olandesi citati in precedenza?

B: “Posso solo che parlarne bene. Devo dire che erano ragazzi semplici e normali. Non facevano pesare il loro nome. Gullit e Van Basten confermarono nel Milan le loro doti. Dal punto di vista umano erano persone alla mano. Ricordo che ai tempi condividevo la stanza, a Milanello, con Gullit. All’inizio non parlava italiano e io non parlavo l’inglese, ma poi pian piano ci siamo capiti senza problemi”.

Verona e Atalanta, cosa le hanno lasciato dentro queste esperienze?

B: “Sono state esperienze che mi hanno fatto crescere e migliorare. Ho potuto confrontarmi con altri calciatori e allenatori. Devo dire che sono stato bene in entrambe le squadre. A Verona ho avuto la possibilità e la fortuna di essere allenato da Osvaldo Bagnoli, il quale aveva fatto la storia, vincendo lì lo scudetto. In più Verona è la mia città, quindi ho avuto la possibilità di giocare nello stadio, nel quale andavo a vedere da piccolo le partite, con la presenza in campo dei vari Zigoni e Mascetti. Per me era anche la realizzazione di un sogno”.

Altra tappa fondamentale della sua carriera sono gli 8 anni al Genoa, con 2 picchi, la qualificazione in Coppa Uefa e la successiva semifinale. Quale fu il segreto di quella squadra?

B: “Il segreto fu dato da Bagnoli e dal gruppo squadra che si era formato. Quell’anno arrivarono Skuhravy e Branco, oltre a me e ad Onorati. Erano calciatori perfetti per il gioco che voleva Bagnoli. Il Genoa veniva dagli anni di Scoglio, il quale aveva dato un’impronta importante e lo stesso Bagnoli riuscì a migliorare l’intesa”.

Che cosa ha significato per voi battere il Liverpool in Coppa Uefa?

B: “E’ stata sicuramente un’impresa importante. Siamo passati alla storia per essere stata la prima squadra italiana a vincere ad Anfield Road, cosa che non era mai successo a nessuno. Per noi fu un grande orgoglio. Probabilmente lì per lì non ci siamo resi conto di quello che facemmo. Poi negli anni successivi è stata ricordata come impresa storica e averne fatto parte, mi rende felice ed orgoglioso”.

Dopo Liedholm e Sacchi ecco Bagnoli. Quali erano le sue caratteristiche da allenatore?

B: “Era molto carismatico. Non parlava molto, ma si faceva apprezzare, seguire e rispettare dai calciatori, grazie a questo modo semplice di fare le cose, senza tanti fronzoli. Sapeva quando era il momento di alzare la voce e strigliare la squadra o quando difenderla. Questo ha permesso che tutto il gruppo lo seguisse nella sua gestione”.

Nella stagione 1998-99 lei è uno dei primi italiani a lasciare l’Italia per l’Inghilterra. Come mai questa scelta?

B: “E’ venuta un po’ per caso. Avevo appena terminato il contratto con il Genoa e mi proposero di andare in Inghilterra per provare con i miei stessi occhi quella tipologia di calcio. Mi fu proposta una prova di 10/15 giorni, la quale a 33 anni suonava un po’ strana. Però accettai questa sfida e fui tesserato per il West Bromwich Albion. L’esperienza fu molto bella, nonostante all’inizio dovetti affrontare diverse dinamiche, rispetto a quelle del calcio italiano. Capì che in Inghilterra contava, rispetto all’Italia, lo spirito sportivo all’interno della partita. Bisognava vincere, però contava la prestazione. L’importante è che la squadra dia tutto. Poi il risultato dipende da vari fattori. In Inghilterra le partite sono delle feste e appena finiscono c’è il terzo tempo, con una sala addetta alla bevuta. Non c’è l’esasperazione e la pressione che c’è in Italia. Un calciatore può esprimersi al massimo dal punto di vista tecnico è fisico perché è libero mentalmente. Difficilmente si sente fischiare un calciatore dal pubblico di casa. Si pensa solo ad incitare la squadra “.

Come descriverebbe il suo rapporto di amicizia con Roberto Donadoni?

B: “Noi ci conosciamo dal 1987/88, l’anno del primo scudetto dell’era Berlusconi. Ognuno di noi ha percorso la sua strada e poi ci siamo ritrovati dopo qualche anno. Io stavo per terminare la carriera e lui stava incominciando la carriera di allenatore. Ci ritrovammo a Lecco, io da calciatore e lui da allenatore. Da lì poi è continuata la nostra amicizia che si è rafforzata. Successivamente entrai a far parte del suo staff e ancora oggi siamo insieme”.

Come descriverebbe la sua esperienza di Livorno, la prima da Vice di Donadoni?

B: “Livorno è stata un’altra tappa importante. Sono stato prima calciatore in C e in B e poi divenni collaboratore di Donadoni. Mi trovai bene ed ebbi un bel rapporto con società, tifosi, compagni e anche con la città, seppur ci allenassimo fuori Livorno “.

Biennio all’Italia. Non crede che verso la vostra gestione sia stata fatta una valutazione errata?

B: “Non lo so e non spetta a me dirlo. Posso dire che aver guidato la Nazionale Campione del Mondo è stata una bellissima esperienza, che pochi possono avere avuto la fortuna di fare. Ho avuto modo di conoscere soprattutto gli uomini, rispetto ai calciatori. Ho conosciuto bella gente che si comportava in maniera semplice rispetto al nome”.

Cosa non funzionò a Napoli?

B: “Può succedere che qualche volta qualcosa non vada. A Napoli arrivammo in un periodo di cambiamenti. Non era una squadra costruita da noi. Magari c’erano dei calciatori che ritenevamo importanti, ma che non hanno dato il massimo. Ma può succedere, perché i calciatori sono umani e possono avere un periodo caratterizzato da una condizione inferiore rispetto alle potenzialità. Questo spesso può essere fattore di esonero”.

Parma e Bologna. Cosa le hanno lasciato dentro queste due piazze emiliane?

B: “Mi hanno lasciato un bellissimo ricordo delle città. Erano a dimensione umana e dove si può vivere senza quella pressione che c’è nelle squadre metropolitane. A Parma riuscimmo a centrare un 6° posto inaspettato, con una squadra che è riuscita a fare un girone senza sconfitte, sovvertendo le griglie iniziali. Siamo riusciti a rilanciare alcuni calciatori, i quali ci hanno dato tanto. Ad esempio Gobbi, Paletta, Mirante, Lucarelli, Marchionni, Biabiany, Amauri, Parolo (che poi venne venduto alla Lazio, dopo diversi gol) e Cassano stesso. Il barese faceva la differenza, perché aveva qualità superiore alla norma. Ogni tanto poteva avere qualche piccolo atteggiamento non consono, ma con noi si è sempre comportato bene e in maniera professionale. In un anno avrà saltato circa una settimana di allenamento”.

L’esperienza in Cina come la valuta?

B: “Altra bella esperienza. Devo essere sincero ero partito con perplessità e dubbi, perché ci si trasferisce in un paese con costumi e usi diversi rispetto a noi. Ma devo dire che con il tempo l’esperienza cinese è stata apprezzata, da tutti i suoi punti di vista”.

Ritornando alla sua carriera da calciatore, chi è stato l’avversario più forte da marcare e chi fu il suo compagno di squadra più forte?

B: “In quel periodo ho avuto la possibilità di affrontare Maradona. Chi ha giocato in quel periodo può dire che lui è stato veramente il più grande avversario da fronteggiare. Come compagni ho avuto Van Basten, Gullit, Oriali, Passarella, Antognoni, Socrates. Ho avuto la fortuna di essere stato a contatto con tanti grandi calciatori. Poi arrivarono in Italia anche Matthaus, Rijkaard, Savicevice furono grandi avversari. Da ricordare che in quel periodo, nel nostro campionato, venivano a giocare i migliori stranieri del mondo”.

Come vede questa lotta per lo scudetto in Italia?

B: “In questo momento sicuramente il Napoli sta dando dimostrazione di essere una squadra forte e solida, con grandissime possibilità di vittoria finale. Ma il campionato è lungo. La Juventus si è rifatta sotto e il Milan non molla”.

Cosa ne pensa del progetto di Roberto Valentino, di riproporre il vostro calcio del passato attraverso il virtuale?

B: “Penso che sia qualcosa di bello ricordare quel periodo e quegli anni e a me può solo fare piacere”.

Quale consiglio darebbe ai giovani che vogliono praticare il calcio?

B: “Io sono ancora legato alla mia esperienza e dico che l’importante è divertirsi, andare in campo ed esprimere le proprie potenzialità, senza pensare di arrivare. Se le cose devono succedere, succederanno. Se son rose fioriranno. La nostra generazione è cresciuta per la strada o nei campi parocchiali, in cui le partite non finivano mai e ci si divertiva. Anche ex calciatori del mio periodo ricordano queste stesse cose”.

Luca Meringolo © Stadio Sport

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