“Racconteremo anche questo ai nostri figli”: il film di Italia – Svezia

Immaginate. Provate ad immaginare un’Italia in trionfo, una Svezia in ginocchio, Ventura che applaude e abbraccia uno ad uno i suoi giocatori, Buffon che batte i pugni sul petto per gridare al mondo che ce l’hanno fatta, Bonucci che alza con fierezza le braccia al cielo per ricordare al roboante pubblico di San Siro che non è ancora il momento di festeggiare sui loro cadaveri. Stimolate la vostra fantasia e immaginate Insigne al centro del campo, ancora col cappotto addosso e il freddo che lo infastidisce, con un mezzo sorriso dal quale si nota l’orgoglio di poter dire che, nonostante gli zero minuti giocati in partita, lui ai Mondiali ci sarà. Che ci saranno altre occasioni per poter dimostrare il suo talento. Che, dopotutto, le scelte di Ventura ci hanno portato in Russia. Osservate Barzagli, fisico da corazziere e tempra da marine, camminare esausto sul prato di San Siro, col respiro affannoso di un 35enne che per un’intera partita ha fatto a sportellate con i colossi svedesi e nei momenti di crisi si è lanciato a centrocampo per provare a costruire qualcosa. Guardate il pubblico di San Siro: esulta, canta, urla, pensa che in estate sarà meraviglioso vivere momenti come quello. Momenti dove guardi con soddisfazione gli sguardi spenti e delusi dei giocatori svedesi, crollati al suolo come durante la partita, quando tentavano in tutti i modi di perdere tempo e di difendere con i denti un vantaggio concesso da una dea bendata che, come un deus ex machina, aveva svolazzato per 90 minuti sulla Friends Arena.

Bene, ora smettete di sognare e guardate in faccia la realtà. La nazionale italiana è in ginocchio, il suo capitano, in lacrime, saluta la nazionale ai microfoni dei giornalisti. Nello Stadio aleggia un’atmosfera surreale: alcuni giocatori piangono e si coprono il viso con le loro magliette madide di sudore, altri fissano il vuoto e camminano senza meta, altri ancora pensano intensamente a come sarebbe dovuta andare.

L’epilogo, infatti, avrebbe dovuto essere quello raccontato inizialmente: quello della vittoria, del trionfo, di una nazionale che celebra la sua capacità di saper soffrire e far soffrire i suoi tifosi, di un allenatore che passeggia orgogliosamente sul selciato di San Siro, pronto a presentarsi in conferenza stampa per spernacchiare tutti quelli che avevano già celebrato il suo funerale. Sarebbe stato un finale perfetto per una partita che, nonostante tutto, ha rappresentato l’essenza dell’arte cinematografica, la splendida messa in scena di un kolossal ricco di sequenze che hanno mostrato alla perfezione la meraviglia di una battaglia, l’entusiasmo di un popolo e l’eroismo incompiuto di undici valorosi cavalieri.

ItaliaColoro che hanno visto questa partita potranno raccontare ai loro figli di aver ammirato con emozione i plateali gesti di Bonucci, determinato a continuare la battaglia con un ginocchio a pezzi e a lanciar via con rabbia la sua maschera protettiva, come se gli impedisse di mostrare ai nemici la sua vera forza. Non dimenticheremo il rabbioso sfogo di De Rossi, perfetta rappresentazione di un uomo che sacrifica sé stesso, mette da parte il suo naturale egoismo e prova a far capire al suo generale che l’uomo di cui ha bisogno per vincere la guerra non è lui. Ricorderemo tutto: gli sguardi nervosi di Ventura, i sorrisetti del portiere Olsen, la solidità di un fortino dipinto di giallo impossibile da espugnare, il respiro di Darmian spezzato da una ginocchiata, le corse disperate di Chiellini, l’urlo strozzato in gola dopo il quasi-goal di Immobile, l’inno cantato con orgoglio da un pubblico mai domo, l’urlo di un portiere che si lancia eroicamente in aiuto dei compagni.

Applausi a scena aperta per Alessandro Florenzi, autore di due gesti destinati a rimanere simboli dell’incantevole bellezza di una disfatta: una sfortunata mezza rovesciata degna di essere raffigurata sugli album delle figurine Panini e due baci intensi, quelli al pallone, prima dell’ultimo disperato assalto.

Colpo di testa in slow motion, palla in rete e ruggito di San Siro come in un film a lieto fine? Purtroppo no.

Racconteremo anche questo ai nostri figli.

GIULIO NOCERINO © Stadio Sport

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