Oliver Bierhoff, il panzer

C’è stato un tempo in cui andavano di moda i centravanti: attaccanti dalla struttura fisica imponente, fortissimi di testa, magari un po’ grezzi tecnicamente ma pronti a dare battaglia su ogni pallone.

Poi sono arrivati i Van Basten e gli Ibrahimovic a sfatare un po’ il mito del centravanti tutto muscoli e niente tecnica, ma una piccolissima parte del merito è anche di Oliver Bierhoff.

Oliver Bierhoff non era solo il prototipo del panzer tedesco, ne ha anche rappresentato l’evoluzione: certo, la sua caratteristica principale era proprio la forza fisica che, abbinata ad un colpo di testa micidiale, lo ha reso per praticamente un decennio un incubo per le difese di mezza Serie A, ma Bierhoff sapeva far gol in ogni modo: di destro, di sinistro, abbinando sempre tecnica e potenza. 

E’ stato un grande protagonista del calcio europeo, Bierhoff: probabilmente il miglior attaccante tedesco tra la seconda metà degli anni Novanta e i primi anni Duemila, capace di trascinare da solo la Germania alla vittoria di un incredibile Europeo nel 1996.

Bierhoff fu determinante, con una doppietta in finale contro la Repubblica Ceca: entrato con i tedeschi sotto di una rete, Bierhoff segnò prima il gol del pareggio e poi il golden gol della vittoria. 

Ebbe meno fortuna ai Mondiali del ’98, di cui era una delle stelle più attese: la Germania non era ancora la corazzata dei nostri giorni, ma Bierhoff segnò comunque tre reti in cinque partite

Partecipò anche ai Mondiali 2002, dove il sogno di diventare Campione del Mondo sfumò davanti all’inarrestabile Brasile di Ronaldo, ma con il gol segnato all’Arabia Saudita nella fase a gironi Bierhoff raggiunse quota 37 reti in nazionale, confermandosi come uno dei massimi cannonieri nella storia della Germania.

In un certo senso, però, Bierhoff è anche un prodotto del calcio nostrano: dopo un inizio di carriera non entusiasmante tra Amburgo e Borussia Moenchengladbach, il giovane Bierhoff emigrò nel modesto campionato austriaco, al Salisburgo. Dopo una stagione entusiasmante, viene scoperto dall’Inter.

Siamo nel 1991 e i neroazzurri non sembrano credere più di tanto in quel ragazzone biondo di 23 anni e così lo mandano in prestito all’Ascoli. Quattro anni nelle Marche, in cui Bierhoff fa appena in tempo a farsi notare in Serie A perché i bianconeri retrocedono subito in B

La carriera di Bierhoff stenta a decollare, eppure proprio quando sembra essersi arenata qualcosa cambia: i tre anni nella nostra Serie B vedono l’esplosione del tedesco, capace di segnare 47 reti in tre stagioni e di diventare un idolo del club marchigiano.

Le prestazioni enormi di Bierhoff non passano inosservate e nel 1995 viene prelevato dall’Udinese, da sempre club molto attento a scovare talenti ancora non del tutto espressi: in Friuli la maturazione di Bierhoff è completa. Dopo le 17 reti il primo anno e le 13 del secondo, nel 1997-1998 Bierhoff si impone di prepotenza in quello che allora era il miglior campionato del mondo.

Al cospetto di attaccanti del calibro di Ronaldo, Batistuta, Baggio, Del Piero, Inzaghi, Montella, Totti, Crespo, Weah e tanti, tanti altri, a spuntarla alla fine è proprio Bierhoff, capace di segnare con la maglia dell’Udinese 27 reti in 32 partite e di vincere il titolo di capocannoniere a fine campionato: praticamente la media di quasi un gol ogni 90 minuti.

Con numeri del genere, Bierhoff conquista la chiamata del Milan, club che vuole fortemente tornare a vincere la Serie A dopo qualche stagione un po’ zoppicante: Bierhoff ha quasi trent’anni e qualche tifoso storce il naso nonostante le statistiche straordinarie del tedesco.

Bierhoff ancora una volta lascia parlare il campo e trascina i rossoneri di Zaccheroni alla vittoria dello Scudetto 1998-99: i suoi 19 gol si rivelano decisivi e la coppia che forma con Weah si dimostra formidabile: il liberiano corre e diverte, Bierhoff lotta con le difese e finalizza.

Piccola curiosità: delle 19 reti in Serie A, ben 15 sono di testa, la specialità della casa.

Bierhoff resterà altre due stagioni al Milan, segnando complessivamente altre 23 reti ma senza più vincere nulla.

Peccato perché, nonostante la partenza di Weah, Bierhoff avrebbe un altro compagno con cui formare un tandem devastante per divertire i tifosi rossoneri: infatti è da poco arrivato a Milano un giovane Shevchenko che di sicuro, nei due anni con Bierhoff, può dire di aver appreso tanto.

All’età di 33 anni, Bierhoff decide di provare l’avventura in Francia con la maglia del Monaco: nonostante le 7 reti in 25 presenze del tedesco, il club del Principato non riesce a raggiungere gli obiettivi stagionali e così Bierhoff si trova senza squadra, ma non ha ancora voglia di smettere.

Un attaccante nato ed esploso in provincia non può che chiudere in provincia: e quale squadra migliore per farlo se non la “provinciale” per eccellenza, il Chievo dei miracoli?

 

(fonte: Getty Images)

Con i clivensi Bierhoff gioca un’ultima stagione in Serie A: è un po’ il leader del gruppo formato da tanti giovani e si rivela decisivo per il raggiungimento di un altro enorme risultato nella storia del Chievo, un settimo posto che vale oro. 

Bierhoff segna nella sua ultima stagione da calciatore 7 reti, ma togliendosi la soddisfazione di realizzare una storica tripletta contro la Juventus, inutile ai fini del risultato, ma che resta un addio dal calcio giocato a dir poco sontuoso.

 

Bierhoff è stato un ariete dell’attacco, capace di far gol con qualsiasi tipo di squadra: devastante quando ha giocato con le “provinciali”, ma decisivo anche in un Milan stellare.

Fortissimo di testa, ma capace di far gol anche con entrambi i piedi: una macchina da gol che, a dispetto della fama da spilungone sgraziato e tecnicamente rozzo, ha anzi dimostrato di avere anche un tocco più che discreto e un senso del gol da bomber di razza e di poter essere ricordato come uno degli attaccanti più forti degli anni d’oro della Serie A.

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