E’ possibile che i “tifosi” di una squadra imbottita di giocatori di origine africana ricoprano di ululati il portiere di origine africana avversario spingendo lui e i compagni ad abbandonare la partita per una decina di minuti?
E’ successo questo iersera a Udine. Poco dopo la mezz’ora, con il Milan avanti comodamente di un gol, Mike Maignan, inviperito per certi cori insultanti, ha lasciato il campo guadagnando gli spogliatoi; i compagni di squadra hanno solidarizzato facendo altrettanto.
Dopo circa sette minuti, la partita è ricominciata, ma il danno era ormai fatto: a nulla sono valsi i richiami dello speaker a ricordare che in casi come questi l’arbitro può, o forse deve, dichiarare la partita conclusa e conseguente sarà la sconfitta a tavolino.
La sfida è terminata sul campo con la vittoria rossonera in rimonta per tre reti a due, meritata e ottenuta alla faccia dei delinquenti travestiti da tifosi friulani, e il fatto sportivo ci dice che il Milan pare in salute pur con varie pecche.
Maignan ha parlato e hanno parlato altri, tutti, seppur in ritardo. Ma perché fischiare un giocatore per il colore della pelle se la tua squadra è praticamente una multinazionale? Più che razzismo, potrebbe essere stato un metodo, errato nei modi, di infastidire e innervosire il giocatore.
Metodo che ha funzionato parzialmente: al ritorno in campo l’Udinese ha pareggiato subito e nella ripresa, sfruttando un avversario imbelle e imballato, è anche passato in vantaggio salvo essere a sua volta ribaltata nei minuti finali.
Il punto è un altro, comunque: si è trattato di cori razzisti nei modi, ma probabilmente non nelle intenzioni. Non sono più i tempi in cui un manichino nero viene impiccato e mostrato in curva (cercate la storia di Michael Ferrier), ma il sentimento razzista è certamente presente. Ma sarebbe da scemi se la squadra che tifi acquista prevalentemente giocatori neri.
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