Nel calcio moderno si tende a pensare che per vincere serva per forza una grande stella, un campione in grado di fare la differenza. Eppure, nella storia della Serie A ci sono state stagioni memorabili in cui a trionfare è stato il gruppo, non il singolo. Squadre compatte, organizzate, spesso sottovalutate, che hanno conquistato lo Scudetto senza avere in rosa un fuoriclasse indiscusso. Ecco cinque esempi indimenticabili di vittorie costruite sul gioco di squadra e non sul talento individuale.

1. Hellas Verona 1984-85: la favola più bella
Quella dell’Hellas Verona allenato da Osvaldo Bagnoli è probabilmente la storia più romantica del calcio italiano. In una Serie A dominata da squadre come Juventus, Milan, Inter, Roma e Napoli, i gialloblù conquistarono lo Scudetto con un gruppo solidissimo e pochissime individualità. Il nome più noto era Preben Elkjaer, ma l’attaccante danese era un grande lottatore più che un fuoriclasse. Attorno a lui, tanti “gregari” di lusso: Briegel, Di Gennaro, Galderisi, Tricella, Ferroni.
La forza del Verona fu l’organizzazione difensiva, la condizione atletica e un’incredibile capacità di sorprendere le big. Nessun nome da copertina, ma un’identità tattica fortissima e uno spogliatoio unito. Una vera lezione per chi pensa che senza un top player non si possa vincere.
2. Sampdoria 1990-91: il trionfo di Vialli e Mancini, ma senza superstar
Sebbene oggi Vialli e Mancini siano nomi iconici, nel 1991 erano ancora due talenti italiani apprezzati ma non a livello mondiale. La Sampdoria di Boskov vinse lo Scudetto con una squadra costruita nel tempo, con innesti mirati e una compattezza invidiabile. Il modulo era semplice, ma efficace: un 4-4-2 con grande equilibrio, esterni di gamba e un attacco ispirato.
Non c’erano i Galacticos, ma una squadra dove ognuno sapeva perfettamente cosa fare. Da Pagliuca in porta, alla solidità di Vierchowod in difesa, fino al contributo essenziale di giocatori come Lombardo, Dossena e Pari, la Samp costruì il proprio trionfo con il lavoro quotidiano. Vialli segnò 19 reti, ma fu il sistema a rendere grande ogni singolo.
3. Fiorentina 1968-69: il miracolo di Pesaola
Nel pieno dominio di Milan e Inter, la Fiorentina di Bruno Pesaola sorprese tutti vincendo uno Scudetto con la squadra più giovane del campionato. Nessuna stella internazionale, ma una rosa piena di giovani italiani di talento e disciplina.
Tra i protagonisti ci furono Chiarugi, Amarildo, Merlo e il portiere Superchi, ma nessuno era considerato un “top player”. Il merito fu tutto di un gioco corale, fatto di pressing, attenzione e rapidità. La Fiorentina vinse con 45 punti, segnando poco (38 gol), ma subendo pochissimo (solo 16 reti). L’equilibrio fu la vera forza viola.
4. Cagliari 1969-70: il gruppo al servizio di Riva
Anche se Gigi Riva era senza dubbio un grande bomber, il Cagliari campione d’Italia del 1970 fu una squadra operaia, dove il talento del suo attaccante veniva esaltato da un’organizzazione impeccabile.
Il tecnico Manlio Scopigno costruì una macchina quasi perfetta, con elementi sottovalutati ma fondamentali come Albertosi, Niccolai, Domenghini, Nenè, Martiradonna. Senza Riva quella squadra non avrebbe vinto, ma senza il gruppo Riva non avrebbe mai segnato tanto. Il Cagliari non era una squadra di stelle, ma di uomini al servizio di una causa comune. Una delle imprese più belle del Sud Italia nel calcio.
5. Lazio 1999-2000: la profondità prima della stella
Molti ricordano la Lazio del 2000 per la presenza di nomi come Verón, Nedved e Salas, ma nessuno di questi era una vera “superstar mondiale” all’epoca. Non c’era un Ronaldo, un Zidane o un Totti. Il trionfo della Lazio arrivò grazie a una rosa profondissima, con tanti titolari intercambiabili, e alla capacità di Sven-Göran Eriksson di motivare tutti e gestire lo spogliatoio.
La Lazio vinse con il miglior attacco (64 gol) ma senza un capocannoniere assoluto. Ogni reparto contribuiva: Simeone e Stankovic a centrocampo, Nesta e Sensini in difesa, Mihajlovic sui calci piazzati. Una squadra dove nessuno brillava da solo, ma tutti brillavano insieme.
Queste cinque squadre ci insegnano che nel calcio non conta solo il nome sulla maglia, ma come si gioca, come si lotta e quanto si è uniti. Il talento individuale può decidere una partita, ma il gruppo vince i campionati. E ogni tanto, il collettivo batte anche i fuoriclasse.