Diego Armando Maradona compie 60 anni: storia e carriera del Pibe de Oro

Dai primi passi calcati con la maglia dell’Argentinos Juniors al suo rapporto con Napoli. Ecco perchè non potrà mai esistere un altro Diego Armando Maradona.

Diego Armando Maradona, oggi 60 anni del “Pibe de Oro”

Non sono tanti gli uomini che, durante la loro carriera, hanno rivoluzionato in maniera inequivocabile, non solo il modo di giocare a calcio, ma anche il modo di concepirlo. Pochissimi hanno reso il calcio un’interpretazione della propria personalità, creando stili di gioco assolutamente unici e tattiche, ancora oggi, rivoluzionarie.

Pelè ha messo in ginocchio il mondo intero a suon di gol e giocate che anticipavano di almeno 50 anni il calcio dei suoi tempi; Cruijff, prima in campo e poi fuori, ha dato il via alla più grande rivoluzione tattica di sempre che ancora oggi è l’elemento basilare di ogni squadra calcistica europea; Messi e Ronaldo hanno riscritto il concetto di “giocatore dominante”, battendo praticamente ogni record.

Pochi altri hanno tramandato qualcosa di veramente rivoluzionario al mondo del calcio: Garrincha è stato il re dei dribbling; Puskas ha avviato la gloriosa generazione dei numeri 9; Di Stefano ha mostrato una delle interpretazioni calcistiche più eleganti della storia; etc…

Eppure, tra questi, c’è un campione incollocabile nella linea temporale di questo glorioso sport. Un personaggio estroso sia dentro che fuori dal campo, tanto da essere, allo stesso tempo, idolo indiscusso di chi ha goduto delle sue giocate ed esempio da non seguire per chi si concentra maggiormente sugli eventi extracalcistici.

Esattamente 60 anni fa, 30 ottobre 1960, nacque nella città di Lanus, in Argentina, quello che per molti è il più grande giocatore della storia: Diego Armando Maradona.

Fin dai primi tocchi di palla nelle giovanili dell’Argentinos Juniors, nel 1970, si nota che si è di fronte a qualcosa di diverso, unico, mai visto in un campo da calcio. A 10 anni sapeva già perfettamente come stare in campo e cosa fare palla al piede.

Maradona ai tempi dell’Argentinos Juniors

11 anni, 166 presenze e 116 gol dopo Diego sbarca nel tempio del calcio mondiale: La Bombonera.

Gioca al Boca per una sola stagione, causa problemi economici degli Xeneizes, ma vince il suo primo campionato e si afferma come il migliore della sua generazione.

L’arrivo in Europa, nel 1982, è tra gioie e dolori. L’argentino ha l’esigenza di affermarsi anche in nazionale e aspetta il mondiale in Spagna per essere protagonista.

Il Barcellona lo ingaggia con grandi speranze e lui non disattende le aspettative, nonostante faccia parlare di se fuori dal campo. Il mondiale spagnolo dell’82’ non lo consacra a causa dell’eliminazione per mano dell’Italia e di quella storica marcatura di Gentile nei suoi confronti.

El Pibe, in Spagna, è irrequieto, l’infortunio nell’83 lo tiene lontano dal campo e al suo rientro trova proprio Goikoetxea, difensore dell’Athletic Bilbao, che lo infortunò. L’indole di Maradona esplode in una rissa a fine partita che, di fatto, mette fine ai suoi rapporti con i blaugrana.

Eppure è dall’1984 al 1990 che il fenomeno Diego Armando Maradona si trasformo in “Dios”.

Sarebbe impossibile spiegare per filo e per segno tutte le magnifiche gesta di uno dei giocatori più geniali, tecnici e divertenti della storia del calcio. Più semplice è spiegare perché Maradona è un giocatore impossibile da imitare.

Il calcio di Diego è sempre stato puro istinto. Ogni giocata non era frutto di un allenamento specifico ma di un dono divino che l’argentino ha sempre avuto fin da bambino. Un uomo nato per il calcio e fatto per stare dentro un campo da calcio. L’eleganza dettata dai suoi cambi di passo o dai suoi lanci millimetrici venivano non tanto dal cervello, quando dall’esigenza del suo corpo di dover far esplodere il suo indecifrabile talento. Ecco perché gli si poteva perdonare tutto.

Sicuramente El Pibe è una delle personalità più controverse della  storia di questo sport: inutile star qui ad elencare tutti gli scandali e tutte le volte in cui è stato trovato in condizioni ai limiti della decenza; eppure, qualsiasi fosse il suo stato di forma, dentro il campo da gioco la mente gli si accendeva automaticamente e gli avversari sapevano fin dal primo tocco che, durante quella partita, non ci sarebbe stato modo di fermare il numero 10.

L’identità calcistica e sociale di Diego è tutta nella storica doppietta siglata il 22 giugno 1986 allo Stadio Azteca di Città del Messico, contro l’Inghilterra. Furono i 5 minuti più iconici della storia del calcio mondiale e spiegano perfettamente che persona era Maradona.

Nel primo gol, conosciuto ai più come “La mano de Dios”, c’è tutta la sregolatezza e la furbizia di un personaggio che, anche in mezzo al campo, non si cura delle conseguenze e fa quel che gli pare, nel modo che gli pare. Tutti sono pronti a  condannarlo per un gol assolutamente irregolare e per la sua disonestà nel non denunciare il fatto, eppure, 5 minuti dopo, crea dal nulla il gol più bello che un essere umano possa mai concepire su un campo da calcio.

Il gol del secolo

Un dribbling incessante, accompagnato dall’urlo del telecronista argentino che al momento del pallone in rete si limita a ringraziare Dio, non specificando mai se stesse ringraziando la figura religiosa o quello splendido giocatore.

Maradona concluse quel mondiale da vincitore, da miglior giocatore del torneo e da assoluto fenomeno.

Non si era mai visto un singolo uomo riuscire a trascinare una nazionale niente più che discreta fino alla vittoria della Coppa più ambita dal mondo calcistico.

Es un Barrilete cosmico”, diceva la stampa argentina. Leggero e imprevedibile come un aquilone, infinito e straripante come il cosmo con un sinistro sopraffino e un corpo che si muoveva d’istinto a seconda di dove il pallone avesse deciso di rimbalzare.

Maradona fu, nella sua carriera, inimitabile in tutto e per tutto. Odiato e amato; bellissimo ma allo stesso tempo criticato: ed è forse per questo che il suo nome e la sua anima sono indissolubilmente legati al Napoli e alla città di Napoli.

Fin dal 5 luglio 1984, data di arrivo al San Paolo, Diego ha dato tutto per la maglia dei partenopei, oltre le 188 presenze e le 81 reti citati dai dati statistici. Maradona a Napoli è stato Re e lui ha donato ad una città tanto ambiziosa, ma poco vincente, la gioia di 2 scudetti, 1 coppa italia, 1 supercoppa e 1 coppa UEFA.

Gli eventi iconografici rimasti alla storia quando “El Pibe de Oro” viveva all’ombra del Vesuvio sono tanti: la perfetta punizione con il quale condannò le speranze scudetto della Juventus; il gol da centrocampo contro il Verona in cui, nemmeno il tempo del fischio dell’arbitro, e lui già aveva disegnato la parabola perfetta per portare in vantaggio i suoi; la semifinale di Coppa UEFA contro il Bayern Monaco, in cui la tensione era alle stelle ma Diego decise di comportarsi come suo solito regalando, sotto le note di Live is Life degli Opus, una danza col pallone quasi a voler dire a compagni e tifosi: tranquilli, passiamo noi.

Ma più di tutti è forse il legame con la città di Napoli che rende questo atleta unico nel suo genere. Maradona per Napoli fu il modo per affermarsi nel mondo, per rialzarsi e riscattarsi; Napoli per Maradona fu casa e protezione.

Maradona nella sua vita ha sbagliato tanto e continua a sbagliare. La droga è una macchia indelebile nella sua carriera, le feste a tarda notte e i suoi comportamenti attestavano la fragilità dell’uomo fuori dal campo.

Quella ricaduta nel Mondiale USA 1994 ci ha forse tolto la possibilità di vedere un Maradona di nuovo motivato, far coppia con il prototipo perfetto del numero 9, Gabriel Batistuta.

Tutti lo hanno abbandonato… Napoli no.

I napoletani gli hanno perdonato tutto, fino all’ultima bravata. Erano gli unici a riuscire a capire alla perfezione la mentalità di un genio che aveva il vizio di dover essere folle anche fuori dal campo. Per Napoli, Maradona era messo al primo posto rispetto a tutto e tutti… tanto da applaudirlo e tifare per lui nella semifinale dei Mondiali di Italia 90’ che costò l’eliminazione alla nostra selezione.

Mai nessun’altra città poteva rispecchiarsi in un calciatore. Talmente simili da amarsi follemente anche dopo 60 anni. Napoli è stata, per Maradona, l’unica piazza e l’unica cosa esistente in questo mondo a poter pensare minimamente di pareggiare la sua indole.

Sul campo, invece, non ci sono dubbi. Non c’è nessuna classifica, nessun numero e nessun pallone d’oro che tenga: una personalità così polivalente e un talento così fuori dal comune, non calcheranno mai più un campo da calcio.

Auguri Diego, “gracias Dios”.

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