Leadership naturale, personalità. ambizione: sono solo alcune delle caratteristiche che hanno reso Sinisa Mihajlovic prima un giocatore e adesso un allenatore quasi unico nel suo genere.
Tra le altre c’è, ad esempio, il suo proverbiale sinistro che lo ha reso uno dei più grandi specialisti su punizione della storia del calcio moderno, al punto che il suo tiro è stato studiato da alcuni ricercatori del Dipartimento di Fisica dell’Università di Belgrado: 28 gol su punizione in Serie A, questo l’incredibile score di un difensore con il sinistro da trequartista raffinato.
Formatosi nel florido vivaio della Stella Rossa, il giovane Mihajlovic ad appena 21 anni è già sul tetto d’Europa vincendo la Coppa dei Campioni 1990-91.
Viene notato dalla Roma che ha l’intuizione di portarlo in Italia molto giovane e proporlo con continuità in difesa: infatti in origine Mihajlovic veniva impiegato prevalentemente a centrocampo.
Fu prima Mazzone e successivamente Boskov a decidere di impiegarlo in difesa, per esaltare anche la sua cattiveria agonistica, altro marchio di fabbrica del Mihajlovic giocatore.
Passato alla Sampdoria nel 1994 conferma le sue straordinarie doti balistiche, vivendo delle stagioni molto soddisfacenti che lo vedono crescere anche per disciplina tattica e senso della posizione.
Ed infatti nel 1998 viene acquistato dalla Lazio per la cifra record di 22 miliardi di lire, diventando ben presto un leader dei biancocelesti con cui due anni dopo vincerà uno storico Scudetto, ma anche due Supercoppe italiane, una Supercoppa europea, una Coppa delle Coppe e due Coppe Italia: sono annate irripetibili, le più belle della storia della Lazio e forse anche della carriera di Mihajlovic, assoluto protagonista di quelle vittorie.
Mihajlovic nel 2004, a 35 anni, fa in tempo a vivere un’importante esperienza anche all’Inter con cui vincerà un campionato e due Coppe Italia prima di cominciare nel 2006, una volta ritiratosi, l’apprendistato in panchina al seguito del suo vecchio compagno e amico Roberto Mancini.
Se questa è la storia del Mihajlovic giocatore, difensore duro, arcigno, con un magico sinistro e un palmarès invidiabile, c’è quella del Mihajlovic uomo: ad appena 22 anni il dramma della guerra in Jugoslavia, vissuta in prima persona sulla sua pelle, come quando non ebbe per giorni notizie della sua famiglia coinvolta nei durissimi scontri nel piccolo villaggio di Borovo Selo.
Fu grazie all’amicizia con Arkan, capo ultras della Stella Rossa, che la famiglia di Mihajlovic viene portata in salvo venendo trasferita a Belgrado: erano gli anni in cui c’era la caccia al serbo, come ricordato dallo stesso Mihajlovic in alcune interviste.
Sono circostanze durissime che cementificano il carattere del giovane Mihajlovic, talvolta anche interpellato circa la sua appartenenza politica: a tal proposito ha espresso più volte di essere un nostalgico di Tito.
In campo guerriero, guida per i più giovani da quando si è seduto in panchina, Mihajlovic non ha smesso nemmeno quando ha appeso le scarpette al chiodo di essere un vero e proprio soldato dai modi talvolta controversi (celebre l’episodio in cui insultò pesantemente Vieira in una partita di Champions) ma sempre pronto a mettere l’onore e il rispetto davanti a tutto: come quando non salutò Totti (suo ex compagno ai tempi della Roma) colpevole di aver disertato la sua partita di addio o come quando estromise il giovane Ljajic dalla nazionale per non aver cantato l’inno nazionale serbo.
L’orgoglio, lo spirito d’appartenenza e il senso dell’onore quindi Mihajlovic le ha portate con sé anche in panchina: fin qui la sua esperienza da allenatore non è stata brillante e fortunata come quella da giocatore, ma ha sempre lasciato il suo marchio di fabbrica ovunque sia passato. Bene con la Sampdoria, incompreso dal Milan nonostante sia riuscito a portare i rossoneri a una finale di Coppa Italia riuscendo a migliorare una rosa con limiti evidenti, altalenante fin qui con il Torino: Mihajlovic è così, o lo ami o lo odi, ma di sicuro è sempre capace di lasciare il segno.
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