Contestualizzare ed analizzare una serata come quella vissuta ieri a Roma è difficile, se non impossibile. Ma oltre al cuore, oltre al fato, il lavoro tattico di Eusebio Di Francesco è il suo team nei 180 minuti totali è stato veramente rilevante.
IL CAMBIO IMPROVVISO
Più e più volte Di Francesco aveva dichiarato di non amare la difesa a 3 (o a 5 che dir si voglia) privilegiando sistemi a 4. La sua carriera parla chiaro, difficilmente si è distaccato dal 433 o dal 4231 e dalla creazione del gioco sulle fasce attraverso le catene laterali. Cosa ha indotto dunque il tecnico abruzzese a cambiare modulo proprio alla vigilia di un appuntamento così importante?
In molti avranno notato ieri alcune peculiarità della squadra che nella scorsa stagione ha raggiunto quota 89 punti in campionato: la ricerca del lancio diretto verso Dzeko, il quadrilatero in fase di impostazione creato dai 3 centrali e dai due mediani (o uno dei due), la posizione di Nainggolan dietro le punte. È dunque possibile che Di Francesco abbia parlato con i suoi giocatori, o almeno con i più importanti, e adeguato i suoi principi di gioco alle sicurezze che ad alcuni di loro mancavano?
Possibile, ma più probabile che il tecnico ex Sassuolo abbia identificato innanzittutto il punto debole della Roma nella gara d’andata: le ricezioni di Iniesta nello spazio di mezzo destro, che mettevano in crisi Florenzi, Bruno Peres e Manolas, e avvicinavano il fenomeno spagnolo a Messi, al centro. Di fatto la situazione tattica che ha portato all’autogol di De Rossi al Camp Nou.
Canonicamente, per difendere al meglio gli halfspaces la difesa con tre centrali difensivi è più adatta, perché permette ai centrali laterali di uscire in anticipo proprio nei corridoi interni, assicurati dalla presenza di un compagno che difende la profondità (e in questa caratteristica Manolas domina).
La Roma è stata però attenta a mantenere la linea alta, una peculiarità del calcio di Di Francesco, e ha praticamente sempre mandato in fuorigioco gli avversari quando provano a lanciare alla disperata.
LA PARTITA MONUMENTALE DI DZEKO
Spesso durante la prima parte della stagione Edin Dzeko ha lamentato solitudine. Nella scorsa stagione il bosniaco ha sempre potuto appoggiarsi a Nainggolan, ma soprattutto a Salah, una volta risalito il campo. Mai come nella partita di ieri però il bosniaco è sembrato dominante: ha vinto 11 dei 13 duelli offensivi ingaggiati, 4 duelli aerei su 4, realizzato una rete, guadagnato un rigore, e poi si è destreggiato nella trequarti, facendo praticamente impazzire gli esperti difensori catalani.
Ancora una volta il gol non è stata la cosa più importante fatta da questo attaccante straordinario nelle semplici cose che fa per aiutare la sua squadra. Con la sua presenza fisica ha anche liberato la fantasia di Schick, libero di giocare da seconda punta, di allargarsi a destra per provare a convergere sul sinistro, e di avventarsi sulle seconde palle che scaturiscono proprio dai duelli aerei.
LE SOFFERENZE DEL BARCELLONA
Il Barcellona è sceso in campo con lo stesso undici dell’andata, ma si è subito trovato di fronte ad un incubo. Per DNA i catalani hanno difficoltà a giocare contro squadre che pressano, fanno fallo sistematicamente, e alzano la palla quando non riescono a risalire il campo dal basso.
I 4 difensori del Barcellona insieme hanno toccato più palle (334) della linea a 5 della Roma (288) ma non hanno mai trovato un appoggio comodo su Busquets, sistematicamente aggredito da Strootman, e nonostante l’apparente superiorità numerica sulle fasce (il 4-4-2 in teoria dovrebbe garantire due uomini per fascia, a differenza del 3-4-2-1 giallorosso), Sergi Roberto e Semedo sono andati in difficoltà di fronte alla fisicità di Kolarov e Nainggolan, mentre sulla sinistra Jordi Alba ha praticamente sofferto di solitudine trovandosi questa volta di fronte non solo Florenzi, ma anche Fazio, da centrale laterale destro, pronto anche ad impostare.
QUESTIONE DI PROSPETTIVE
Chiedersi dove può arrivare questa Roma adesso è ancora più difficile. La semifinale è un risultato incredibile, e visto l’impatto avuto dai giallorossi nei 180 minuti giocati contro una squadra che finora era imbattuta da 46 partite consecutive potrebbero stravolgere ogni equilibrio.
Di Francesco ha inoltre trovato un’alternativa tattica al suo gioco organizzato con le catene laterali e l’utilizzo delle ali, scendendo a compromessi con le caratteristiche dei suoi calciatori più importanti, e adattandosi in parte all’avversario. Questa nuova dimensione potrebbe dare uno slancio definitivo alla Roma nelle ultime 9 (chissà, magari 10) partite della stagione. Nulla è precluso a questo punto, e ancora una volta i giallorossi si trovano davanti un bivio, seppur dolce, ma sempre un bivio: o la gloria inattesa, e incredibile, o un fallimento (l’arrivo al quinto posto verrebbe così dipinto).
Bisognerà stare attenti a non buttare il bambino con l’acqua sporca in ogni caso, perché il cammino della Roma in Europa non è solo una questione di fato, destino, o casualità che dir si voglia, ma il risultato di un lavoro ben costruito da Di Francesco e il suo staff, e accolto a braccia aperte dallo spogliatoio giallorosso.
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