Milan, finita l’era Montella: numeri, errori e motivi dell’esonero

Assenza di gioco, difficoltà difensiva, attacco spuntato, bilancio negativo in un campionato quasi impossibile da raddrizzare e mancanza di carattere e personalità sono le cause alla base dell’esonero di Montella, che lascia il Milan dopo 517 giorni e una Supercoppa Italia vinta nel 2016 contro la Juventus a Doha 

Le domande che sorgono spontanee di fronte all’esonero di Vincenzo Montella probabilmente non contemplano dubbi riguardo la legittimità della decisione presa dal Milan, quanto più che altro nelle tempistiche e nel sostituto.

E’ giusto rischiare di bruciare l’ennesima bandiera, quando sarebbe stato meglio farla crescere con la Primavera? E, ancora: perché ora con un calendario facile, dopo le migliori prestazioni offerte in campionato, e non prima, per esempio alla vigilia della sfida con il Chievo Verona o, perché no, anche durante la sosta dello scorso ultimo impegno delle nazionali? 

Dubbi, domande, ma la certezza è la fine dell’era Montella a Milanello, al termine di una vera e propria agonia iniziata il 20 settembre, a causa della quale i rossoneri occupano il settimo posto in classifica con 20 punti conquistati grazie ad un bilancio in equilibrio, costituito da 6 vittorie, 2 pareggi e 6 sconfitte, ma anche da 19 gol fatti e 18 gol subiti, una differenza reti di solo +1 da paura. 

Perché, sinceramente, dopo aver speso 230 milioni di euro in sede di mercato in estate e, soprattutto, dopo le promesse e le premesse dello stato maggiore rossonero, formato dal presidente Yonghong Li, dal braccio destro David Han Li, dal ad e dg Marco Fassone e dal ds Massimiliano Mirabelli, nessuno mai avrebbe potuto prevedere questa mediocrità. 

E’ vero, l’obiettivo minimo stagionale è stato raggiunto con un turno d’anticipo, ma è sicuramente troppo poco il primo posto e la qualificazione ai sedicesimi di finale di Europa League per una squadra che, attualmente almeno, segna un -11 punti dal quarto posto, che verosimilmente potrebbero aumentare con le partite da recuperare, e un -6 punti anche dal sesto posto, che garantirebbe la permanenza nella seconda coppa europea. 

E, così, possono essere messe a tacere, almeno per un po’, le ombre sulla Sino Europe Sports, sul presidente Li, sulle miniere di fosfato, sul rifinanziamento del debito nei confronti di Elliott, sulla tanto attesa risposta da parte della Uefa per il Fair Play Finanziario, sul pericolo di dover sacrificare qualche pezzo pregiato della rosa per non rischiare l’esclusione delle coppe. 

Ora bisogna far parlare il campo, perché il campo delineerà il futuro del Milan, ora di Ivan Gennaro Gattuso, al secolo “Ringhio”, protagonista assoluto di questo inizio di stagione sulla panchina della Primavera rossonera, terza in campionato, che avrà l’arduo compito di dare un senso a questa stagione, traghettando la squadra fino alla fine, provando a rimontare in classifica e giocarsi una conferma quasi impossibile, a causa dell’ombra di top allenatori, come Carlo Ancelotti e Antonio Conte

Ma è giusto evidenziare la storia di Montella sulla panchina rossonera. Prima di tutto, è stato l’allenatore più longevo post Massimiliano Allegri con 517 giorni sulla panchina del Milan. Poi, il bilancio non è così negativo: 32 vittorie, 14 pareggi e 18 sconfitte in 64 partite totali tra Serie A, Coppa Italia e Europa League. Infine, vincitore della Supercoppa Italia 2016 a Doha contro la Juventus ai calci di rigore lo scorso 23 dicembre. 

L’ormai ex allenatore è il primo tecnico esonerato nell’era cinese. I motivi della decisione presa dal duo Fassone-Mirabelli, appoggiata dal presidente Li e dall’omonimo braccio destro, non sono solo legati ai risultati in campionato, che, comunque, da soli potrebbero bastare per spiegarne la scelta. 

Infatti, analizzando attentamente questo anno a mezzo e poco più di governo montelliano, dopo il grande inizio di stagione passato, caratterizzato da continuità di prestazioni e risultati, nonché esaltato da una squadra finalmente considerabile come tale, piena di carattere e personalità, le prime crepe si erano create ad inizio 2017 con un girone di ritorno assolutamente insufficiente, continue difficoltà di dare un gioco offensivo e primi esperimenti tattici nel finale di stagione. 

Qui, forse, c’è stato il primo grande errore di Fassone e Mirabelli che, appena insediatisi, hanno provveduto a rinnovare il contratto di Montella. Ma, in realtà, era auspicabile, visto che il tecnico napoletano era stato capace di conquistare il sesto posto, tornando in Europa dopo anni di assenza, con una rosa che, almeno sulla carta, per tutti non era considerata all’altezza del prestigio del Milan, e, soprattutto, c’era sempre la speranza di quello che avrebbe potuto fare con giocatori più forti. 

Poi, il secondo grande errore estivo del duo dirigenziale è stato accontentare fin troppo Montella in sede di mercato in estate, acquistando i tre giocatori da lui richiesti: Leonardo Bonucci, Lucas Biglia e Nikola Kalinic. Attualmente, sono proprio i tre giocatori più sotto accusa, nonostante il nuovo capitano rossonero sia sicuramente in grande crescita. 

Proprio “crescita” è stata la parola usata da Montella in queste ultime settimane, in cui il Milan ha fatto sicuramente meglio a livello di gioco rispetto al precedente mese e mezzo. Ma, prima di arrivare alla crisi di prestazioni e risultati, è bene ricordare l’ottimo inizio di questa stagione con le sei vittorie consecutive tra preliminari di Europa League e inizio di campionato, basandosi sul 4-3-3 con il quale erano state costruite le fortune della scorsa annata. 

Qualcosa si è rotto con la debacle di Roma contro la Lazio, un 4-1 che ha cominciato a far vacillare le certezze dei rossoneri, e di Montella, che continuavano a vincere e fare punti, segnando tantissimo in coppa, anche con il passaggio alla tanto richiesta e agognata difesa a 3, così da esaltare i nuovi acquisti, dare maggiore equilibrio alla squadra e migliorare la fase difensiva. 

Così, Montella ha provato a trovare la quadratura del cerchio continuando a sperimentare moduli, dal 3-4-3 al 3-5-2, passando dal 3-5-1-1 al 3-4-2-1 e al 3-4-1-2, senza dimenticare l’ultimo camaleontico 4-4-2 in un falso 3-4-2-1, e, soprattutto, a cambiare uomini ed interpreti, non schierando mai, finora all’ultima partita, il pareggio casalingo contro il Torino, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, gli stessi undici in campo, quasi a certificare l’assenza di titolari o l’impossibilità di trovarli. 

A questo si aggiunge ovviamente la crisi a San Siro, uno Stadio Meazza trasformatosi in un inferno, quasi un incubo per una squadra che non ha più segnato in campionato dalla vittoria contro la Spal del 20 settembre, cancellando l’entusiasmo della Milano rossonera, che ha cambiato atteggiamento nei confronti del proprio tecnico, dei propri giocatori e della propria squadra, fischiati al minimo errore. 

Ma ciò che più non ha convinto dell’ultimo Milan di Montella, a parte il gioco, ed è incomprensibile non aver dato un’identità o anche solo una minima di gioco alla squadra in cinque mesi, avendo iniziato il ritiro estivo nei primi giorni di luglio, tanto da vedere in campo giocatori confusi e senza sapere cosa fare palla al piede, sono le sconfitte negli scontri diretti, anche contro Sampdoria, Juventus, Napoli, Inter e Roma, a parte quella con i biancocelesti, e gli atteggiamenti fuori dal campo. 

Infatti, come è possibile che l’allenatore di una squadra finora mai convincente, così discontinua, senza gioco, con evidenti problemi offensivi, una fase difensiva molto ballerina e con risultati negativi, pedissequamente e repentinamente si presentava con un sorriso in conferenza stampa e davanti ai microfoni dei giornalisti predicava ottimismo, esaltava la crescita della squadra e, soprattutto, sdrammatizzava con battutine e ammiccamenti? 

Certo, non è sempre e solo colpa dell’allenatore, ma è l’allenatore a pagare quando la situazione è questa. Certo, forse alcuni nuovi acquisti sono stati sopravalutati in estate, non solo per il valore del mercato, ma per ciò che avrebbero dovuto dare in campo. Certo, le continue voci e i tanti dubbi attorno alla proprietà sono state un’ombra accerchiante che può aver snervato la squadra. Certo, non è colpa dell’allenatore se gli attaccanti non segnano neanche a mezzo metro dalla porta e se giocatori importanti sbagliano anche i passaggi più facili ed elementari. 

Forse, la scelta del Milan è più dovuta alla volontà di dare una scossa all’ambiente, azzerando qualsiasi alibi. Ma, in fondo, c’era da tempo la sensazione che qualcosa non andava, volendo anche solo citare lo stato confusionale di Montella nello schierare in ruoli inopportuni e non consoni i propri giocatori e, soprattutto, non riuscendo a dare sicurezza, serenità, carattere e personalità ad una squadra, capace di trovare stimoli solo contro le big, non sfigurando, ma, se è per questo, neanche facendo risultato. 

Proprio il carattere e la personalità saranno le caratteristiche che dovrà portare Gattuso, scelto proprio per la sua capacità di non mollare, la sua volontà di lottare fino alla fine e “strillare” i compagni, quando era calciatore, e i propri giocatori, da quando è allenatore. 

Il pericolo più grande è rischiare di bruciare un’altra bandiera, un altro uomo Milan, un altro allievo di Ancelotti ed eroe di quell’epopea decennale, dopo Pippo Inzaghi, rilanciatosi però a Venezia, Clarence Seedorf e Cristian Brocchi, attualmente secondo di Fabio Capello allo Jiangsu Suning

La storia di Gattuso allenatore è ancora tutta da scrivere, ma ha più di 100 presenze sulle panchine di club e campionati professionistici, tutti in situazioni molto difficili a livello ambientale e societario. Dopo le brevissime esperienze a Sion da calciatore-allenatore, con cui ha collezionato 1 vittoria, 1 pareggio e 2 sconfitte in 4 partite, e le 8 partite sulla panchina del Palermo con 3 vittorie, 1 pareggio e 4 sconfitte, si è dimesso da tecnico dell’OFI Creta, avendo conquistato 5 vittorie, 3 pareggi e 9 sconfitte in 17 gare. 

Il meglio l’ha dato sicuramente nella bellissima esperienza di Pisa con la promozione dalla Lega Pro alla Serie B con 22 vittorie, 14 pareggi e 7 sconfitte e il fallimento societario nel campionato cadetto, con tanto di penalizzazione e, ovviamente, retrocessione sul campo con 8 vittorie, 21 pareggi e 16 sconfitte, che hanno convinto il nuovo Milan a puntare su di lui per allenare la Primavera, con cui ha chiuso la sua esperienza con 6 vittorie, 1 pareggio e 3 sconfitte, e, ovviamente, l’attuale promozione in Prima Squadra. 

Sarà sicuramente interessante scoprire come giocherà il nuovo Milan di Gattuso, che ha utilizzato sia il 4-3-3 che il 3-4-3 in questi mesi, talvolta provando anche il rombo a centrocampo. Ma più che gli aspetti tattici, il Ringhio dovrà dare nuovi stimoli, certezze, carattere, personalità e gioco ai rossoneri, che ora dovranno inanellare un filotto di vittorie consecutive per provare a tornare in corsa per i propri obiettivi e non naufragare in acque sconosciute. 

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