F1 GP Ungheria 2020, Analisi Gara: Hamilton e Mercedes cannibali. Naufragio Ferrari

All’Hungaroring Hamilton e la Mercedes confermano una volta di più la loro legge. Verstappen brilla, Bottas meno. Ferrari semplice comparsa

Il weekend di Budapest è una di quelle situazioni che, in base all’angolo di visuale, hanno poco o tanto da dire. Da un lato abbiamo l’imprendibile accoppiata Mercedes-Hamilton, determinata a disintegrare avversari e record che ancora non sono nelle loro mani. Dall’altra abbiamo una concorrenza disorientata peggio di un pugile colpito da una caterva di pugni in pieno volto.

Una Red Bull confusionaria, che si aggrappa al grande talento di Max Verstappen, capace di passare da un errore marchiano come quello del formation lap, ad un magnifico 2° posto, dando il 110% per contenere la rimonta di un altrettanto deludente Valtteri Bottas. La crisi Ferrari è ormai conclamata e deprimente, con due piloti, Sebastian Vettel e Charles Leclerc, umiliati da una situazione tecnica che non ha via d’uscita.

Lewis Hamilton con il trofeo del vincitore del Gran Premio d’Ungheria 2020 (foto da: twitter.com/MercedesAMGF1)

Mercedes #1 – Passerella per Hamilton, che ‘vede’ sempre di più Schumi. Bottas solo 3°

È semplice descrivere il weekend di Lewis Hamilton sulle colline di Budapest: un dominio assoluto, incontrastato. Oddio, in Qualifica Bottas ci prova, e ha il merito di contenere il gap dal vorace compagno di box (alla pole #90 in carriera, la 7° all’Hungaroring) a 107 millesimi. Ma in gara semplicemente non ce n’è. Lewis parte a cannone, a differenza del finlandese, che pattina troppo sull’asfalto viscido e viene risucchiato indietro, fino alla 6° posizione, difendendosi a fatica anche da Perez. Un Bottas che ha rischiato tantissimo, essendosi mosso prima del via, ma i sensori affogati nell’asfalto non hanno captato il movimento della W11 #77.

Istantanea della partenza della gara di ieri in Ungheria (foto da: youtube.com)

Tornando a Lewis, la sua è stata una gara si in solitario, ma raramente in controllo, nel senso che il nativo di Stevenage ha spinto per gran parte della gara, rifilando distacchi pesanti a tutti in ogni condizione. Nel finale, a voler ribadire questo senso di superiorità e di cannibalismo, il passaggio alle soft per ottenere anche il punto extra del giro veloce, puntualmente arrivato (1:16.627 all’ultimo passaggio). Bottas risale fino alla terza posizione, giungendo quindi negli scarichi di Verstappen; ma visto il potenziale della macchina che ha tra le mani, non può essere giudicato sufficiente. Intanto Hamilton lo ha già passato in classifica (63 a 58) e la certezza è che, se il buon Valtteri vuole davvero contendere il titolo all’inglese, dovrà fare molto di più.

Mercedes #2 – La volontà di Wolff: “Distruggere ed umiliare tutto e tutti”

Il leit-motiv di questo avvio di stagione è una Mercedes che non si nasconde più, che non ha alcuna remora nel mostrare tutta la sua potenza soverchiante, annichilendo qualunque residua speranza degli avversari, anche di una Red Bull che credeva (e sperava) di essere molto più vicina. La W11 è l’ennesima ‘macchina da guerra’ prodotta dalla sinergia tra Brackley e Brixworth ma, dati alla mano, si candida di prepotenza ad entrare nel novero delle macchine più dominanti di sempre, come e più della W05 del 2014, come le Ferrari F2002 e F2004, come la McLaren MP4/4 del 1988 o la Williams FW14B del 1992. Anzi, direi che la W11 abbia concretamente le possibilità di riuscire dove le altre hanno fallito, ovvero vincere tutte le gare.

Così è, non si scappa. Il Mondiale 2020, già falcidiato dalle problematiche varie legate alla pandemia, è morto, dal punto di vista della competizione, praticamente prima ancora di cominciare. E sinistramente anche il 2021 rischia di seguire lo stesso canovaccio, a causa delle sciagurate modifiche ai regolamenti approvate nei mesi scorsi, con la scusa di andare incontro ai piccoli team, colpiti dalla crisi economica. La realtà dei fatti è che queste modifiche, su tutte la reintroduzione dei tanto odiati tokens nello sviluppo di alcune parti della monoposto, assieme al freezing di altre, porta e porterà semplicemente ad un consolidamento delle attuali posizioni di potere che, è palese, si protraggono ormai dal 2014.

Lewis Hamilton (in primo piano) e Valtteri Bottas (sullo sfondo) nel weekend ungherese (foto da: twitter.com/MercedesAMGF1)

E qui sta la grossa differenza con i grandi domini del passato, un senso di ineluttabilità strisciante, di scoramento, di assenza di speranza in un possibile cambiamento, che non ha eguali nella storia di questo sport. E badate, non è che parliamo così solo perché la Ferrari non vince da 12 anni un mondiale; il problema enorme è che nessuno, che non sia Mercedes, ha la benché minima possibilità di opporsi in modo convincente a questo strapotere. Il team anglo-tedesco ha assunto una tale preponderanza nel Circus, sotto tutti gli aspetti, da schiacciare ed intimidire tutti, FIA e Liberty Media compresi.

Ormai Wolff e compagnia cantante considerano la Formula 1 ‘cosa loro’, un giocattolo nel quale e del quale fare quel che si vuole. Al punto da mettere in pista altre due Mercedes camuffate di rosa (pur se del 2019), anche loro capaci di stare davanti agli avversari, sebbene a distanza di sicurezza dalla Casa madre. Ragazzi, solo a livello di miglior giro nella gara di ieri, il primo non Mercedes, vale a dire Verstappen (4° miglior crono), si è beccato la bellezza di +2.557. Aggiungiamoci poi la ‘sadica’ ricerca del doppiaggio alla Ferrari, con Hamilton fermatosi solo dopo aver inflitto questa nuova umiliazione al martoriato Cavallino (poco) Rampante.

Hamilton taglia il traguardo del GP d’Ungheria 2020 come vincitore (foto da: twitter.com)

E qui entriamo in un altro aspetto della vicenda, ovvero la faida personale tra Toto e Mattia Binotto, reo quest’ultimo di essersi messo in mezzo alla scalata dell’austriaco ai vertici della Formula 1; un Wolff che si è esplicitamente legato al dito anche la faccenda della power unit Ferrari dello scorso anno e, di rimando, l’accordo ‘segreto’ di Maranello con la FIA. In Mercedes l’ordine è chiaro, ovvero polverizzare gli avversari, senza stare più a pensare a battaglie di facciata e quant’altro. Hamilton ha la strada spianata verso gli ultimi record del Kaiser, andando tra quest’anno e il prossimo al sorpasso sia come titoli che come vittorie (più che probabile lo sfondamento di quota 100). Una Formula 1 moribonda, iper scontata, nella quale ora più che mai già si può indovinare con largo anticipo come andranno le cose. Per quanto tempo ancora sarà sostenibile tutto ciò?

Red Bull – Verstappen c’è ma non basta. Albon continua a non convincere

Max Verstappen lascia l’Ungheria con un 2° posto che vale letteralmente oro, per le circostanze nelle quali è arrivato. Innanzitutto, l’olandese rischia di emulare l’Alain Prost di Imola 1991 (sebbene allora si fosse nel giro di ricognizione) perdendo il controllo della sua RB16 alla staccata di curva 12 nel giro di schieramento, e finendo contro le barriere. Ala anteriore divelta e braccetto della sospensione anteriore sinistra danneggiato. In una disperata lotta contro il tempo, gli uomini Red Bull riescono a sistemare la macchina per la partenza; al resto poi pensa l’enorme talento del figlio di Jos.

Max guida alla grandissima, non commettendo il minimo errore; da stropicciarsi gli occhi il passo gara, contenendo il gap medio da Hamilton tra i 2 e i 3 decimi; un vero miracolo con una Red Bull che, in realtà, è ben più lontana dall’astronave nera. Nel finale, Verstappen fa di tutto per evitare il ripetersi della gara dello scorso anno, quando venne raggiunto e passato da Hamilton negli ultimi chilometri; e ci riesce, tenendo dietro Bottas, che si ferma a poco più di 7 decimi dalla vettura #33.

Max Verstappen contro le barriere, mentre andava a schierarsi in griglia. L’olandese ha rimediato con un bel 2° posto (foto da: youtube.com)

Ma a Milton Keynes avranno di che riflettere, nella marcia di avvicinamento a Silverstone. Contrariamente ai proclami pre Austria, infatti, la RB16 non è per nulla all’altezza dei titolati avversari, dovendo anzi guardare anche dalla Racing Point. E ciò è emerso con chiarezza su una pista che, in teoria, avrebbe dovuto esaltare il pacchetto anglo-austriaco. Forse non sarà così al 100%, ma è più che probabile che il vero livello di prestazioni sia molto più vicino a quanto mostrato da Alexander Albon, anche questo weekend molto lontano dal team-mate e alla fine 5°, dopo aver perso tanto tempo dietro i ferraristi in particolare.

Ferrari – Vettel e Leclerc lontanissimi e doppiati. Toccato il fondo o ci sarà ancora di peggio?

Diciamoci la verità. L’onta del doppiaggio, inflitta dalla Mercedes alla malridotta Ferrari di questi tempi, era solo questione di tempo e, probabilmente, sarebbe successo già in Austria se la prima gara non fosse stata pazza e ricca di Safety Car e se nella seconda i due di Maranello non si fossero eliminati da soli. Le buone qualifiche (pur se, va detto, a +1.3 dalla pole) avevano un po’ illuso tutti sul livello di competitività che la SF1000 poteva sfoderare, su una pista dove il motore conta molto meno dell’Austria. E invece la realtà è stata ben più drammatica.

Dopo una partenza positiva, le cose hanno cominciato a prendere una brutta piega sin dalla prima sosta, con passaggio dalle intermedie alle slick. Le soft, montate a Leclerc, non hanno funzionato manco per sbaglio, e meno male che Vettel si è imposto sul muretto, scegliendo invece le migliori medie; intuizione vanificata però dal traffico in pit-lane, che produce una sosta di 9.2″. Il tedesco ha dato quel che ha potuto, con un ritmo buono e sostanzialmente senza errori, provando a tenersi stretto un 5° posto che, in queste condizioni, sarebbe stato tanta roba. Purtroppo, con gomme finite, arriva il lungo in curva 2 che spiana la strada ad Albon che, in poco più di due giri, guadagna la bellezza di 7″, giusto per far capire che ritmo era costretto a tenere Seb.

Sebastian Vettel, 6° in un Gran Premio d’Ungheria amarissimo per la Ferrari (foto da: twitter.com/ScuderiaFerrari)

Un calvario la domenica di Charles, praticamente mai a suo agio, né con la macchina né con le Pirelli, remando senza ritmo accettabile a centro gruppo e dovendo ingoiare l’amaro rospo del sorpasso dal futuro compagno Sainz e di un arrivo fuori dai punti (11°), pur se con alcune difese delle sue, quasi da antologia, su macchine più performanti. Il doppiaggio dalla Mercedes, come ammesso a fine gara da Vettel, era un qualcosa di ampiamente previsto. Pur con tutte le variabili del caso, impressiona il dato dei giri veloci in gara: Seb 14° a +3.736, Charles 16° a +4.194.Serve un cambio di rotta, a tutti i livelli. Il solo pensiero di quel che potrebbe succedere su piste come Silverstone, Spa, Monza o il Mugello fa accapponare la pelle.

Gli altri – Racing Point terza forza, bravo Stroll. Resta lì la Renault, passo indietro McLaren. Gioca il jolly la Haas

Il weekend di Budapest ha confermato quello che già in Austria si era più che intuito, ovvero che la Racing Point (alias pink Mercedes) è attualmente la terza forza, probabilmente seconda se in Red Bull non ci fosse un certo Max Verstappen. Lance Stroll tira fuori una delle migliori gare in carriera (4° ed ultimo dei non doppiati), sfruttando una grande partenza (2° dopo il via) e reggendo bene nelle posizioni nobili della classifica. La notizia è che, stavolta, il figlio di papà Lawrence ha dato una bella paga a Sergio Perez (ieri 7°). Il messicano, pur all’interno di una seconda fila tutta RP, ha pagato +0.168 in Qualifica dal team mate, mentre in gara ha pagato a caro prezzo uno start tutt’altro che positivo; il che gli ha precluso ogni chance di ottenere un risultato importante.

Una delle deluse del weekend è certamente la McLaren che, dopo le belle cose mostrate al Red Bull Ring, incappa in una gara no, non facile da pronosticare dopo la pur buona qualifica. Carlos Sainz riesce lo stesso a raggranellare qualche punto (10° e poi 9°, grazie alla penalità inflitta a Magnussen), mentre Lando Norris maledice se stesso a causa di una partenza al rallenty, che spiega tanto del 13° posto finale. Si conferma su livelli discreti la Renault, che porta a casa un altro 8° posto con Daniel Ricciardo, mentre molto meno bene è andata ad Esteban Ocon, solo 14° e lontano dai riflettori. Una Renault che non molla di un centimetro nei confronti della Racing Point, con un nuovo reclamo presentato ai commissari (nella sostanza lo stesso della settimana scorsa).

Lance Stroll supera Kevin Magnussen, nel corso della gara di ieri all’Hungaroring (foto da: youtube.com)

Menzione d’onore per la Haas che, grazie ad un azzardo strategico, riesce a portare a casa un punto che sarebbe stato utopico in condizioni normali. I due piloti, Kevin Magnussen e Romain Grosjean, sono i primi a montare le slick, richiamati ai box già alla fine del giro di ricognizione; una mossa che permette ai due una prima parte di gara nelle primissime posizioni, prima del comprensibile calo di prestazioni. Mentre il nativo di Ginevra scenderà fino alla 15° posizione, il danese terrà duro, chiudendo 9°. Nel post gara, però, i due sono stati penalizzati di 10″ sul tempo finale, finendo 10° e 16°. Secondo i commissari la Haas avrebbe infranto l’art. 27.1 del Regolamento Sportivo, ovvero che i piloti di Formula 1 sono tenuti a correre da soli e senza aiuti esterni; probabile che a finire sotto la lente d’ingrandimento sia stata proprio la chiamata ai box.

Restano a secco di punti Williams, AlphaTauri e Alfa Romeo. Il team inglese sorride pensando alle Qualifiche, nelle quali ha visto George Russell e Nicholas Latifi entrare entrambi in Q2; in gara, però, non è andata altrettanto bene, con i due che hanno chiuso la classifica (18° e 19°). Il team di Faenza termina la gara con il solo Daniil Kvyat (12°), mentre è stato un weekend da dimenticare per Pierre Gasly, alle prese con continui problemi alla power unit, che l’ha poi appiedato in gara, per l’unico ritiro di giornata. Continua infine a faticare tanto l’Alfa Romeo, con Kimi Raikkonen 15° grazie alla penalità di cui sopra a Grosjean ed Antonio Giovinazzi 17°, entrambi troppo lontani dalla zona punti.

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