F1, Ferrari ad un bivio: cosa fare con Kimi Raikkonen?
A poco meno di 48 ore di distanza, la disfatta monzese della Ferrari fatica ancora a venir metabolizzata. Gli schiaffoni subiti da Hamilton e dalla Mercedes ‘a casa propria’, dopo l’enorme attesa creata prima dalla netta vittoria di Vettel a Spa, poi (e soprattutto) dalla prima fila completa di sabato, hanno spedito nella depressione più cupa un ambiente notoriamente umorale, capace con la stessa velocità di issarti alle stelle e di mandarti nella polvere.
D’altronde, per una persona come il sottoscritto, che segue questo Sport oramai da 25 anni, momenti simili non sono certo una novità. Se proprio dovessi tracciare un parallelo con un altro momento così difficile nel pieno di una rincorsa iridata, con le dovute proporzioni (dovute più che altro alla diversità del momento storico vissuto dalla Formula 1) tirerei fuori senz’altro il post Spa 2000.

Non serve che mi dilunghi troppo. Dopo una prima metà di stagione in grande spolvero, con Michael Schumacher a contare cinque successi nelle prime otto uscite, con un margine che, dopo Montreal, segnava rispettivamente un +22 su David Coulthard ed un +24 su Mika Hakkinen (in un’epoca nella quale la vittoria valeva 10 punti e non 25), l’estate fu sportivamente drammatica per la Ferrari ed il suo alfiere tedesco, spesso e volentieri bersaglio privilegiato della critica, non essendo ancora riuscito a riportare a Maranello un iride la cui attesa, al 2000, contava oramai 21 lunghissimi anni.
Dopo tre ritiri consecutivi tra Magny-Cours (motore ko), Zeltweg e Hockenheim (doppio incidente al via), Michael subisce il sorpasso in classifica dal bicampione in carica Hakkinen all’Hungaroring, dove il pilota McLaren vince, precedendo proprio il tedesco. Spa, a sua volta, è il teatro di uno dei sorpassi più famosi in assoluto della storia della Formula 1, con Mika ad uccellare in un sol colpo, alla fine del Kemmel, il rivale ed il malcapitato, nonché doppiato, Ricardo Zonta, su BAR.
In classifica, Hakkinen vola a +6 su Schumi (74 a 68), forte di un complessivo 42-12 negli appuntamenti estivi. Nonostante manchino quattro gare alla fine del campionato, ricordo benissimo il clima di mesta rassegnazione che si respirava in quel preciso momento. E meno male che i social network fossero ancora al di là da venire, altrimenti tutto sarebbe stato amplificato all’ennesima potenza; come accade al giorno d’oggi, del resto. Comunque, sappiamo tutti come andò a finire, con il Kaiser a festeggiare in quel di Suzuka, nell’indimenticabile alba dell’8 ottobre 2000, il tanto agognato Titolo Mondiale.

Ma torniamo al presente e, nello specifico, al doloroso capitolo di Monza. Sui media e nell’opinione pubblica in generale, gli strali e il pubblico ludibrio si sono scagliati in primis su Sebastian Vettel, ‘reo’ di aver commesso l’ennesimo errore stagionale, di essersi fatto prendere per l’ennesima volta da troppa foga nei primi chilometri, consegnando sul piatto d’argento a Lewis Hamilton quello che in molti considerano quasi un match point in ottica iridata. Un Vettel vittima ancora una volta delle montagne russe, ancora una volta, in poche settimane (se non giorni), da ‘eroe, salvatore della Patria ferrarista’ a ‘pollo’, ‘scarso’, sopravvalutato e mediocre’, maggiore responsabile di un eventuale flop con la ‘macchina nettamente migliore della griglia‘.
Con il passare delle ore, invece, il focus si è abbastanza spostato su quello che, a mio parere, è il vero fulcro della vicenda, ovvero la scellerata gestione dei piloti, dentro e fuori la pista, da parte della Scuderia. Una serie di errori imperdonabile, di fronte al cinismo spietato e machiavellico dei rivali di Brackley. Intendiamoci, l’errore di Vettel alla Roggia c’è e rimane, pur per motivazioni diverse, che andrò a spiegare più avanti (sempre riguardo la mia opinione dei fatti, è chiaro). Un Vettel che si ritrova in una posizione scomodissima, stretto nella morsa di un avversario fortissimo e che sbaglia pochissimo, e di un ambiente asfissiante. Solo Seb può e deve avere il coraggio di fermarsi a riflettere ed avere la forza di ritrovare se stesso. O si affonda definitivamente o si reagisce alla grande. Momenti come questo non ammettono alternative.
F1, MONZA: L’AGGRESSIVITA’ DI KIMI INGUAIA VETTEL
Ma torniamo a noi e, di preciso, all’atteggiamento tenuto da Kimi Raikkonen nei riguardi del compagno di box. C’è ben poco da dire, soltanto qualcuno poco onesto intellettualmente può asserire che sia rientrato nella normalità delle cose. Subito dopo lo start, il primo pensiero del finlandese è quello di andare a chiudere l’altra SF71-H, incrociando da sinistra verso destra, costringendo Vettel a fare l’opposto. In approccio alla Prima Variante, Seb è anche davanti, ma Kimi tira una staccatona a ruote fumanti, riprendendosi di forza la prima posizione. E’ l’inizio della fine per il tedesco. Costretto dalla manovra del compagno di box a non impostare correttamente soprattutto l’uscita dalla prima chicane, Vettel si appresta involontariamente a prestare il fianco al sornione Hamilton, che alle loro spalle osserva il tutto (non senza arrivare ad un leggero contatto con la Ferrari #5).

In uscita dalla Curva Grande, Vettel riesce a riprendere la scia ma, nonostante i tentativi di farsi vedere, soprattutto all’interno, Raikkonen mantiene una traiettoria difensiva, a centro carreggiata, proteggendo ancora la posizione. Il tutto apre a Hamilton un varco enorme giusto davanti a lui, seguendo la traiettoria ideale; quando Seb se ne accorge, ormai la Mercedes #44 gli è affiancata. Per di più, come si capisce dai replay, Vettel non può nemmeno affondare al massimo la staccata, altrimenti sarebbe finito dritto nel diffusore del compagno di box. Alla Roggia, due monoposto affiancate faticano maledettamente a passare indenni (salvo Schumi e Montoya nel 2003), e il contatto, sia pur lieve, costa carissimo al tedesco, che si gira ed è costretto a ripartire dal fondo, senza bargeboards di destra e con una parte di fondo mancante.
Vettel, pur con una monoposto menomata, risale fino ai piedi del podio, 4° sfruttando la sanzione rifilata a Max Verstappen, a 16 secondi dal vincitore e ad un paio di secondi da Bottas, 3°. Raikkonen, va detto, disputa una signora gara, rispondendo subito al sorpasso di Hamilton al restart dopo la SC e tenendo dietro l’inglese fino a che ha potuto, subendo il sorpasso ai -9 con ormai le sue Soft alla fine, tanto da arrivare anche miracolosamente al traguardo (2°, 100.esimo podio in carriera) nonostante una posteriore sinistra portata ai limiti della delaminazione causa blistering.

Una gara, quella del finlandese, complicata da un grave errore strategico del muretto ‘rosso’ che, mostrando ancora una volta poca lucidità in frangenti a rischio, cade nella finta del box Mercedes, fermando Kimi ben nove tornate prima di Lewis Hamilton. Il successivo e palese ‘tappo’ operato da Bottas nei confronti del connazionale, permette a Hamilton di ricucire in fretta quei 5-6 secondi ereditati dopo la sua sosta, oltre ad aggravare un blistering che comunque già aveva cominciato a manifestarsi sulla Ferrari #7, facilitando oltremodo le cose al campione britannico.
F1, FERRARI-RAIKKONEN: GESTIONE DEL CONTRATTO RIDICOLA
Questo è quanto accaduto in gara. Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto, però, lo si era intuito già nelle ore che hanno preceduto la partenza. A dir la verità, contrariamente al solito modus operandi della Ferrari, la decisione sul futuro di Raikkonen, rinnovo o meno, non è arrivata nei giorni immediatamente precedenti il weekend monzese, o almeno prima di sabato. Un’incertezza non giustificabile, essendo oscillato il pendolo, a seconda del momento, in favore di Charles Leclerc e in favore del nativo di Espoo.

Ebbene, contrariamente a quanto pensato durante tutta la pausa estiva, nella settimana pre Monza le quotazioni di un Leclerc in Ferrari già nel 2019 sono tornate a salire vertiginosamente. Vari media hanno diffuso la decisione del nuovo board di Maranello di non disattendere le ultime volontà di Sergio Marchionne, tese a sostituire Kimi con il monegasco. Di ufficiale, però, ancora nulla. All’improvviso, però, domenica mattina esce la ‘bomba’. In primis la Bild e Auto, Moto und Sport diffondo delle dichiarazioni di John Elkann, pizzicato subito dopo un colloquio con il team principal della Sauber, Frederic Vasseur. Ad esplicita domanda, Elkann ha risposto: “Leclerc sa già per quale team guiderà nel 2019. E posso dire che è molto, molto contento“.
Ex post, visti anche altri rumors del paddock, un autogol a livello di comunicazione che ha del clamoroso. Per quanto ci sarebbe da ridire riguardo l’aspetto prettamente professionale, ci sta e in certi limiti capisco quale reazione possa aver avuto Raikkonen, venendo a conoscenza così del fatto che non sarà più ferrarista a fine stagione (anche se alcune fonti, tipo Autosprint, parlano di una notizia data al pilota e al team da Elkann in gran segreto). Se a ciò andiamo ad aggiungere un errore allo stesso modo grave commesso da Maurizio Arrivabene e dal team, ovvero il non prevedere ordini di scuderia a tavolino, ecco che risulta chiaro come si possa esser riusciti a far diventare una probabile festa in uno psicodramma sportivo.
FERRARI E I TEAM RADIO: BASTA IPOCRISIE!
Non bisogna dir stronzate. Quando hai a che fare con un avversario che, in maniera totalmente lecita benché eticamente e sportivamente deprecabile, usa gli ordini di scuderia a 360°, adoperando Bottas in maniera palese e dichiarata come stopper dei rivali, mancando solo che gli chiedano di speronare il rivale diretto del suo capitano, c’è ben poco da scherzare. “… Noi assumiamo dei piloti e non dei maggiordomi. Ritengo molto pericoloso dare ordini di squadra in partenza, al massimo li dai nel corso della gara“, ha spiegato a fine gara Arrivabene, rifilando anche una stoccata indiretta alla Mercedes. Ok, tutto bello, politically correct; ma cosa comporta un modo di fare così ipocrita?
Un bel niente a conti fatti. La Mercedes, pur se Wolff SOLO ORA ha tolto la maschera, a fronte delle parole eloquenti dei due piloti, si gioca la posta in palio con ordini di scuderia anche fin troppo evidenti. In Ferrari, al contrario, non decidere ex ante cosa dovesse succedere in gara, ha prodotto un vero disastro. E perché poi quasi vergognarsi? Non voglio tirar fuori episodi di un glorioso passato, ma basta guardare al recente (o recentissimo) passato. Di Raikkonen uno degli aspetti più rimarcati ed amati è il suo essere uomo squadra. Anche qualche volta a malincuore, ma il finlandese non ha mai fatto mancare il suo apporto, con gli apici, a mio parere, toccati negli ultimi due Gran Premi d’Ungheria, coprendo le spalle ad un Seb col volante sbilenco nel 2017, ed evitando di attaccarlo, nonostante una macchina danneggiata dal contatto con Bottas, poco più di un mese fa.

La pole ottenuta sabato, per quanto anche da me, nel mio piccolo, celebrata, ragionando a posteriori ha fatto sorgere i primi problemi. Come dimenticare il team radio stizzito di Vettel a qualifiche appena finite? ‘Ne parliamo dopo‘, ha riferito Sebastian, a chiedersi come tanti del perché fosse Kimi a chiudere il ‘trenino’ e non lui, benché lo stesso tedesco abbia usufruito della scia di Lewis, pur non riuscendo a mettere insieme un tentativo perfetto, al contrario del compagno di box. Non sappiamo se, a Ferrari invertite in griglia, le cose sarebbero andate diversamente. Ma sembra chiaro come in qualifica si siano poste le fondamenta del disastro, con un Vettel già non tranquillissimo di suo, reso ancor più nervoso dalla difesa dura di Raikkonen.
Assurdo, come detto da Arrivabene e da tanti sui social, che era impossibile operare uno switch nelle posizioni nei primi metri. In Prima Variante, sarebbe bastato non tirare la staccata e Seb avrebbe superato la prima esse al comando; tanto Lewis avrebbe avuto praticamente tutta la sede stradale ostruita, e non sarebbe potuto andare da nessuna parte. Ancora peggio alla Roggia, dove qualcuno ha detto che Vettel era troppo lontano. Falso, perché anche qui a Kimi sarebbe bastato allargare un attimo sulla destra, e il tedesco sarebbe potuto passare in tutta tranquillità, avendo anche in questo caso Lewis la traiettoria sbarrata, a meno di non voler azzardare una manovra rischiosissima. Facile dire ‘Eh ma Seb è stato frettoloso, aveva una gara davanti‘. Ma con tutto quello che è venuto fuori nel frattempo, siamo certi che Kimi gli avrebbe lasciato strada tanto facilmente?
FERRARI, SERVONO PUGNO DURO E CHIAREZZA. ORA O MAI PIU’
E qui arriviamo al punto conclusivo della mia analisi. Molti insider hanno sottolineato che la Ferrari, avendo oramai scaricato Raikkonen, non poteva e non potrà più chiedergli sacrifici in favore di Vettel da qui alla fine del campionato. In molti (soprattutto haters di Vettel piuttosto che fan di Kimi) spingono per questa soluzione, per avere i piloti liberi di lottare (o di far disastri, non suona meglio?). Che Vettel, se vuole dimostrare di essere degno della tuta che indossa, deve battere anche il compagno di squadra, altrimenti è meglio che levi le tende. Un ragionamento fatto proprio, implicitamente, anche da non pochi addetti ai lavori.
No, ma dico, stiamo scherzando? Siamo veramente diventati folli? Qui non si tratta di vincere una singola gara all’interno di un campionato nel quale il titolo se lo giocano altri, come poteva essere nel biennio 2015-16. Qui si tratta di un Mondiale che a Maranello manca dal 2007 e, come sottolineato prima, bisogna mettere da parte falsi moralismi e ribattere colpo su colpo con gli avversari, anche a costo di usare Kimi come fa la Mercedes con Bottas (cosa accaduta nella gestione Arrivabene, per un brevissimo frangente, solo in Cina ad inizio anno). Ho letto che Kimi non lo merita, che bisogna rispettare l’ultimo Campione del Mondo in Ferrari. Tutto giusto, per carità; e io stesso, sinceramente, fatico nel pensare ad un Raikkonen bistrattato come Bottas in Mercedes.

Ma la realtà dei fatti è un’altra. In un campionato così tirato, così combattuto, che rischia di prendere per l’ennesima volta una via diversa da quella che porta a Maranello, è la cura dei dettagli a fare la differenza. Monza ha mostrato una Mercedes che, sotto questo punto di vista, ha letteralmente MASSACRATO la Ferrari, che tutto si è dimostrata tranne che una squadra. Tutti in Mercedes remano dalla stessa parte, in Ferrari no, senza gerarchie ben precise, nonostante si fosse alla 14.esima gara di 21. Assolutamente inaccettabile. Accettare una situazione nella quale, da Singapore ad Abu Dhabi, Vettel si ritrovi a dover competere in situazione di 1 vs 3, se non addirittura 1 vs 4 nei circuiti dove la Red Bull potrà dire ancora la sua, è da TSO seduta stante!
Sarò duro, impopolare, ma tant’è. Se, vista la situazione contrattuale, a Kimi Raikkonen questo ruolo esplicito di spalla di Sebastian Vettel non dovesse andar bene; se il finlandese, considerandosi ormai (e a ragione) libero da qualsiasi impegno con il team, che non sia un qualcosa di volontario, intendendo ingaggiare battaglia da qui alla fine con il compagno così come si trattasse di un qualsiasi rivale; allora la Ferrari dovrà avere il coraggio di prendere una soluzione drastica. Quale? Semplice. Ringraziare il finlandese di tutto quanto, e metterlo alla porta. Piloti come Antonio Giovinazzi o Daniil Kvyat sono lì, disponibili per la causa; si potrebbe anche pensare di anticipare la chiamata di Charles Leclerc.
Qualcuno potrebbe obiettare che sarebbe un grosso azzardo, soprattutto in ottica Titolo Costruttori. Ma la Ferrari, per fortuna, si ritrova un quadro non ancora sfuggitole di mano. Rispettivamente 30 e 25 punti nelle due classifiche, con 7 gare da disputare, si possono recuperare. A patto di non sbagliare più una virgola e di avere gli attributi nel prendere tutte le decisioni necessarie per conseguire l’ambito obiettivo.