Il mondo della Formula 1 e il Motorsport in generale piangono la scomparsa di un’altra leggenda. Nella notte, a causa delle complicazioni di una polmonite, si è spento all’età di 86 anni lo statunitense Dan Gurney, attivo sulla scena motoristica da fine anni ’50 al 1971. A dare l’annuncio della sua scomparsa è stata la famiglia, con il seguente comunicato, firmato dalla moglie Evi, dalla famiglia e dai membri della All American Racers, scuderia fondata da Gurney (e da Carroll Shelby) nel 1964.
Nato a Port Jefferson, New York, il 13 Aprile 1931, Dan Gurney comincia la sua carriera negli States al ritorno dalla Guerra di Corea. Dopo alcuni buoni risultati, varca l’Oceano Atlantico e, dopo aver partecipato senza successo alla 24 Ore di Le Mans 1958, fa il suo debutto in Formula 1 l’anno successivo, al volante della Ferrari 246 F1. Dopo un ritiro in Francia, Gurney si mette subito in luce arrivando 2° all’AVUS (GP di Germania) e 3° sul circuito del Monsanto, in Portogallo, chiudendo la stagione con un 4° posto a Monza.
Dopo la negativa parentesi con la BRM nel 1960 (senza punti, e con il peggior incidente della sua carriera, a Zandvoort, nel quale si ruppe un braccio e la sua monoposto travolse mortalmente uno spettatore), decisamente meglio va a Gurney con la Porsche, con la quale disputa le stagioni 1961 e 1962 (ad eccezione del GP del Belgio ’62 con la Lotus). Dopo tre 2° posti nel 1961 (Reims, Monza e a casa sua, Watkins Glen), nel 1962 ecco la prima vittoria, nel Gran Premio di Francia a Rouen, al volante della 804, con la quale arriverà anche 3° al Nurburgring, gara nella quale centra la prima pole in carriera.
Segue un fruttuoso triennio con la Brabham. Nel 1963, il pilota statunitense conquista due 2° posti (Zandvoort ed East London (Sudafrica)) ed un 3° posto (Spa); nel 1964 arrivano ben due vittorie (ancora a Rouen e a Città del Messico) e due pole position (Zandvoort e Spa). Il 1965 è la sua annata migliore in termini di punti conquistati e piazzamento in classifica generale: 4° con 25 punti, frutto di cinque podi, tra l’altro consecutivi. Nell’ordine, 3° a Zandvoort, al Nurburgring e a Monza, 2° a Watkins Glen e a Città del Messico.
Lasciato il team di Black Jack, nel 1966 Gurney si presenta ai nastri di partenza con il suo team, Eagle, al volante della T1F, motorizzata Climax. La stagione, però, è al di sotto delle attese, soprattutto a causa della scarsa potenza del motore, fruttando solo due 5° posti, a Reims e a Città del Messico. Per il 1967, Gurney si affida agli inglesi della Weslake per la fornitura di motori. Questi ultimi producono un potente V12 che, accoppiato all’ottima MK1, frutta ottime prestazioni in qualifica. Discorso diverso in gara, dove la scarsa affidabilità del Weslake costringe Gurney a tanti ritiri. Due sole volte, nel 1967, il pilota statunitense vede la bandiera a scacchi: a Spa, dove ottiene l’ultima vittoria in carriera, e sul circuito canadese di Mosport Park, dove chiude 3°.
Il 1968 si rivela un’annata complicata sia per Gurney che per la Eagle, collezionando solo ritiri. L’unico piazzamento a punti (4° a Mont-Tremblant, Canada) arriva con una McLaren, in una stagione che lo vede correre anche con una Brabham, stavolta in Olanda. In Germania, diventa il primo pilota ad usare il casco integrale. Visti i risultati, decisamente migliori, raccolti negli States, alla fine del ’68 la Eagle si ritira dalla Formula 1. Gurney vi tornerà un’ultima volta nel 1970, correndo tre gare (Olanda, Francia e Gran Bretagna) con la McLaren M14A, ottenendo il suo ultimo punto grazie al 6° posto a Clermont-Ferrand. Chiude la sua carriera con 87 GP disputati, 19 podi, 4 vittorie, 3 pole position e 6 giri record.
Gurney, però, ha legato la sua fama soprattutto all’esser stato un pilota poliedrico ed instancabile, alle prese con vetture e campionati diversi. Restando all’Europa, partecipò per un totale di dieci volte alla 24 Ore di Le Mans, cogliendo il successo, in coppia con A.J. Foyt, all’ultima partecipazione, nel 1967, con la Ford GT40; sul podio, divenne il primo a sdoganare i festeggiamenti con lo champagne. Negli States, prese parte a nove edizioni consecutive della 500 Miglia d’Indianapolis (dal ’62 al ’70), ottenendo due 2° ed un 3° posto nelle sue ultime tre partecipazioni. Inoltre, corre e vince gare anche nella USAC Championship Car (antenata dell’attuale IndyCar), nella Nascar e nella CanAm.
Una volta ritirato dalle corse, s’impegnò in toto nel ruolo di costruttore d’auto e proprietario, presidente e amministratore della scuderia All American Racers, con la quale vinse più volte non solo ad Indy, ma anche alla 12 Ore di Sebring e alla 24 Ore di Daytona, con un totale di 78 vittorie e 8 campionati. Nel 1978, con la famosa White Letter, Gurney diede il via alle dispute che, un anno dopo, portarono al primo campionato CART, scissosi dalla USAC. Dopo un’ultima gara in Nascar nel 1980 e l’inserimento nella International Motorsports Hall of Fame (1990), la sua attività con il team si protrasse fino ai primi anni 2000.
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