Wimbledon, la caduta di Marin Cilic ad un passo dal sogno: tensione, problema fisico o timore reverenziale?

Wimbledon 2017 era e doveva essere il torneo di Roger Federer e così è stato, tanto che probabilmente, anche Marin Cilic ha percepito questa sensazione nell’aria quando domenica scorsa si è incamminato verso il Campo Centrale, quel terreno che più di tutti ha respirato la storia del tennis, la storia dello sport.

Per la prima volta in carriera il croato aveva raggiunto la finale ai Championships e tentava l’impresa di conquistare il suo secondo titolo dello slam proprio contro il padrone di casa, colui che conosce ogni filo d’erba di quel campo, colui che più di tutti è stato vincente sui prati inglesi.

Così può essere che poco prima di scendere in campo, il gigante Marin abbia sentito il peso della storia unito in un mix devastante con la grandezza dell’avversario che in questo 2017 ha vissuto una vera e propria resurrezione dopo anni complicati, dopo sconfitte davvero pesanti.

Una tensione che secondo alcuni ha attanagliato Marin fin dalle prime battute del match, costringendolo a respiri lunghi ed intensi, sebbene lui per primo, abbia avuto la chance nel quarto gioco di breakkare King Roger ma senza successo.

Da lì qualcosa si è incrinato perché il dominio di Federer è stato totale fino alla conclusione del secondo parziale, a metà del quale Marin è crollato in un pianto nervoso per l’incapacità di godersi al meglio delle proprie condizioni, la partita fin qui più importante della sua carriera.

Poco dopo, la richiesta del medical time out per un problema al piede ha dato un’ulteriore spiegazione e conferma per quel pianto che ha reso così vulnerabile e fragile il gigante croato di fronte agli occhi del mondo del tennis, e che per un attimo ha fatto vacillare anche i milioni di sostenitori di Roger, scossi di fronte alle difficoltà dell’avversario del loro beniamino.

Così si è concluso nel peggiore dei modi per Marin Cilic un torneo nel quale era stato protagonista silenzioso, arrivato alla seconda settimana del torneo a fari spenti ma con prestazioni convincenti e poi, con grande abilità, bravo a sfruttare un buon tabellone che lo ha condotto alla finalissima con tutte le carte in regole per giocarsela alla pari.

Ed invece o una tensione “taglia gambe” o un problemino fisico o una sorta di timore reverenziale verso colui che, anche a 36 anni,  scrive record ed imprese o ancora un mix letale di queste componenti, non gli hanno permesso di vivere e di giocare come avrebbe voluto questo grande appuntamento.

Ma non sono poche le indicazioni positive che Marin può trarre da questo torneo soprattutto ora che si avvicina la stagione su cemento nel Nord America che storicamente è la sua frazione dell’anno preferita, dove ha raggiunto le vette più alte della sua carriera con i titoli a Cincinnati lo scorso anno e soprattutto a New York nel 2014.

Insomma, il meglio potrebbe ancora dover venire, per dimenticare in fretta le lacrime amare di una strana finale di Wimbledon.

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