Il mese di marzo ha confermato la crisi del calcio italiano, a causa del format a 20 squadre, che permette a tantissime squadre di non dover onorare il campionato fino alla fine, visto che già senza obiettivi, rendendo la vita facile alle big, che possono monopolizzare le posizioni valide per le qualificazioni alle coppe europee
Adesso basta! Non è possibile assistere a certi risultati, a certi atteggiamenti, a questo futuro. Inutile girarci attorno, perché aveva ragione Fabio Capello: il campionato italiano è poco allenante. Questa, purtroppo, è la sentenza di questo mese di marzo della Serie A, che ha l’obbligo di cambiare volto, a partire dal format, per tentare di ridare il giusto prestigio al calcio italiano.
Basta un campionato a 20 squadre, dove a metà stagione già si conoscono le tre retrocesse. Basta un campionato dopato di club che, evidentemente, non possono competere a questi livelli, permettendo alle big del calcio italiano di monopolizzare le prime sei posizioni, che poi sono quelle che davvero contano per motivi economici e di prestigio, divise tra Champions League ed Europa League.
Ma, soprattutto, basta assistere a più di dieci squadre che non hanno stimoli, giocano senza obiettivi, inanellano risultati negativi, quasi consapevoli che, con qualsiasi risultato, la classifica permette loro di essere sereni e vivere in tranquillità un finale di stagione senza senso, quasi a voler esclusivamente concludere il campionato per andare in vacanza.
Questa mancanza di competitività si traduce nella crisi del calcio italiano in Europa, dove la Juventus è l’unica squadra ad aver conquistato l’accesso ai quarti di finale, dopo le eliminazioni di Napoli e Roma, e, precedentemente, Inter, Fiorentina e Sassuolo, proprio perché non possono, appunto, allenarsi a dovere in vista di impegni più probanti, che diventano quindi proibitivi.
Urge un cambio di rotta, ma soprattutto una modifica del formato della Serie A, che deve tornare a 18 squadre, unico modo per ridurre il gap tra le squadre di alta, media e bassa classifica. E’ questo l’unico modo per non assistere ancora a tre ultime in classifica, già retrocesse praticamente a metà campionato, che quindi risulta falsato, proprio per la mancanza di obiettivi nelle altre squadre, che rischiano di essere accusate di scansarsi per sudditanza psicologica e assenza di stimoli.
Qualora il presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, non dovesse apportare tale modifica al format delle 20 squadre, la Serie A sarà destinata al dominio della Juventus per ancora altri anni, perché Roma e Napoli hanno dimostrato di non poter colmare storicamente la differenza di tradizione, più che tecnico-tattica, in assenza delle altre storiche, Inter e Milan, che, per un motivo o per un altro, tentano ancora di tornare competitive, tra passi falsi, grandi investimenti e rivoluzioni in sede societaria.
Il ritorno a 18 squadre potrebbe anche vedere la fine di scempi internazionali e la fine delle favole, come quelle del Sassuolo, che ci perdonerà, ma ha dimostrato l’inefficienza nel fare il passo più lungo della gamba, non confermandosi ad alti livelli e, soprattutto, palesando la necessità della presenza di squadre storiche in Europa, dove serve il retaggio del prestigio, l’abitudine e l’esperienza a certe partite, più di tutto.
Senza dimenticare che, con ‘solo’ 18 squadre, la Serie A potrà fare a meno degli orripilanti turni infrasettimanali, snellendo il calendario e regalando una gestione più utile dei carichi di lavoro, soprattutto in vista delle coppe europee, permettendo l’inizio del campionato dopo agosto, senza il caldo asfissiante, e la fine a metà maggio, conservando le soste per le festività.
Solo provando a cambiare è possibile credere nella rinascita del calcio italiano, che dovrà sognare il futuro per vivere un presente all’altezza del prestigio del proprio passato.
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