Ole Gunnar Solskjaer: il dodicesimo uomo

Difficile inquadrare un giocatore come Ole Gunnar Solskjaer negli schemi del calcio odierno: un mondo in cui i giocatori sono abituati ad avere tutto e subito e sempre pronti, dopo una sostituzione mal digerita o una panchina di troppo, a chiamare i procuratori e mettersi sul mercato. Un mondo in cui la fedeltà al proprio club, al proprio allenatore, ai propri compagni, sembra non esistere più o comunque sempre pronta a vacillare davanti alla prima difficoltà.

Solskjaer sembra quasi un giocatore di un’altra epoca: fedele al Manchester United, fedele al suo mentore Sir Alex Ferguson, fedele al popolo dei Red Devils. Undici anni di militanza tra le fila dello United, undici anni di vittorie ma anche di momenti durissimi.

Solskjaer arriva a Manchester nel 1996 in punta di piedi, dopo un paio di grandi stagioni in patria nel Molde: praticamente sconosciuto in Inghilterra, viene scelto da Ferguson soltanto una volta tramontata l’ipotesi Shearer, a lungo inseguito dai Red Devils e infine passato al Newcastle.

Solskjaer deve quindi combattere contro un iniziale pregiudizio e la delusione dei tifosi di non essere riusciti ad arrivare ad un campione come Shearer e di ritrovarsi di fronte ad un norvegese di 23 anni venuto dal nulla.

Davanti la concorrenza di Cantona e Cole è spietata, Solskjaer lo sa e lavora duramente aspettando la propria chance che arriva contro il Blackburn: il norvegese entra e colpisce subito. Manchester inizia a conoscerlo quel 25 agosto del ’96.

Alla fine della stagione saranno 18 le reti di Solskjaer, molte delle quali da subentrato: è il primo titolo con il Manchester United. La stampa inglese, inizialmente scettica nei suoi riguardi, lo ribattezza The Baby-Faced Assassin, per la sua faccia da sbarbatello e il suo killer instinct in area di rigore.

Solskjaer continuerà a non trovare spazio tra i titolari nelle stagioni successive: sono gli anni d’oro dello United, della classe del ’92, di Cantona, della coppia Yorke-Cole. Il norvegese è il dodicesimo uomo, la riserva di lusso, l’uomo capace in qualsiasi momento di sbloccare la partita: Ferguson lo sa e lo considera preziosissimo.

E il fiuto di Sir Alex, come al solito, è infallibile: nel 1998-99 il Manchester United è una macchina da guerra. Dopo aver dominato in Inghliterra, dove i Red Devils vincono sia campionato che FA Cup, la chance di entrare nella storia è la finale di Champions contro un’altra corazzata, il Bayern Monaco: a deciderla sono proprio i cambi. Prima il pareggio di Teddy Sheringham (a proposito di riserve di lusso), poi spunta proprio il norvegese dalla faccia da bambino che al 93′ firma il gol vittoria che porta lo United a vincere uno storico treble, riportando a Manchester una coppa che mancava da 31 anni.

E’ senz’altro il momento più alto della carriera del norvegese che nel 2001-2002, tre anni dopo ha anche finalmente la chance di partire da titolare nelle gerarchie della stagione, per formare una coppia con Van Nistelrooj: dopo tante stagioni in cui è risultato decisivo dalla panchina sembra un premio meritato.

I risultati non cambiano: che parta titolare o dalla panchina, Solskjaer è sempre devastante. Non solo, ma dimostra anche grande duttilità, perché nonostante dia il meglio di sé sotto porta è anche in grado di sostituire Beckham come ala destra. E’ l’uomo di Ferguson che spesso gli affida anche la fascia di capitano.

Dal 2003-2004 iniziano i guai fisici: un grave infortunio al ginocchio e le frequenti ricadute tormentano il norvegese per tre anni, in cui comunque non manca l’affetto dei tifosi dello United che considerano Solskjaer uno di famiglia, come quando si riversarono in migliaia a dargli il bentornato in una partita in cui il norvegese tornava in campo con le riserve. Eppure in tre anni per lui sono appena 24 le presenze e un solo gol. 

Nel 2006-07 finalmente Solskjaer ritrova un buono stato di forma e una certa continuità: tornato al gol in Premier dopo 3 anni, riesce nuovamente a ritagliarsi un ruolo da protagonista in un Manchester United che può vantare in attacco gente come Giggs, Cristiano Ronaldo e Rooney. L’esperienza del norvegese, però, fa sempre comodo e come spesso accade quando subentra dalla panchina è una sentenza. 

Nonostante il riacutizzarsi dei problemi al ginocchio, Solskjaer a fine stagione darà il suo preziosissimo contributo di 11 reti, consentendo allo United di vincere un’altra Premier, la sesta della sua carriera.

Ma in estate dovrà tornare sotto i ferri: nonostante l’operazione riuscita perfettamente, il norvegese non riuscirà più a recuperare e nel 2007-08, pur comparendo nella rosa dei Red Devils che vincerà campionato e Champions League, non scenderà in campo neanche una volta.

Il giorno del suo addio, in un match amichevole organizzato all’Old Trafford contro l’Espanyol, accorrono in 68 mila per salutare il norvegese arrivato undici anni prima tra qualche sorrisetto e tante perplessità. 

Sette campionati, quattro Community Shield, due FA Cup, una Coppa di Lega, due Champions League e una Coppa Intercontinentale, 366 presenze e 126 gol: questo l’incredibile palmarès di Solskjaer, arrivato allo United da signor nessuno e salutando i Red Devils da assoluto protagonista di annate irripetibili, sempre con il numero 20 sulle spalle, sempre pronto a dare il proprio contributo, partendo da titolare o dalla panchina, senza mai una polemica o una parola fuori posto. 

Essere il dodicesimo uomo per Solskjaer non è mai stato un limite, ma uno stimolo per migliorarsi, per entrare in campo e dare il massimo, che sia per 90 o per 10 minuti non importa: l’importante era esserci per quei colori, per quei compagni, per quel popolo e dare sempre, in qualsiasi circostanza, il proprio contributo.

Per questo Ole Gunnar Solskjaer è a tutti gli effetti una leggenda dei Red Devils, amato come pochi e ricordato sempre con affetto, dai tifosi del Manchester United e non solo.

 

 

 

 

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