Luis Suarez, l’architetto del “Futbol”

La Coruna negli anni ’30 non è una delle zone più felici della Spagna. I venti “franchisti” sono ancora lontani, quando nel 1935 nasce Luis Suarez Miramontes, figlio di Augustin, un umile macellaio, che intuisce le potenzialità del gracile figlio, e lo fa crescere con il suo pane quotidiano: carne, e futbol. Luisito è un predestinato, e comincia subito a giocare nelle giovanili del Deportivo, ma a 19 anni, non ha neanche il tempo di arrivare a 20 presenze con la squadra di casa: arriva la grande chiamata del Barcellona.

luisito suarez barcellona

I primi anni in Catalogna non devono essere facili per un 20enne galiziano. Il Barça è un altro Mondo, anche se non è ancora mes que un club. Lui trova poco spazio, la stella della squadra è Ladislao Kubala, un ungherese naturalizzato spagnolo (anzi, catalano) che è una favola. I primi gol in serie arrivano nel 1956, mentre l’Europa celebra il grande Real Madrid, espressione massima del potere franchista nel calcio, il Barcellona arranca, arriva quasi sempre secondo o terzo, vince una Coppa di Spagna nel 1957, e partecipa alla Coppa delle Fiere

È proprio il 1957 l’anno della svolta. Quel giovane, bello e geniale, arrivato da La Coruna, spicca su tutti per la sua visione di gioco. Quando entra in campo segna, ma è ancora più bravo a far segnare, ed arriva a gennaio la prima chiamata della Roja, la nazionale spagnola. Si gioca a Madrid, contro i Paesi Bassi, e Suarez per la prima volta gioca accanto al suo più grande idolo: lui gioca nel Barcellona, ma Alfredo Di Stefano è del Real. A dir la verità, sarebbe pure argentino di nascita, ma ormai è l’anima blancos del Madrid, l’Argentina è lontana. Luisito fa un assist meraviglioso per la Saeta Rubia, che conia per lui un soprannome da leggenda: el arquitecto del futbòl

luisito suarez alfredo di stefano

Suarez vs Di Stefano, in uno dei primi clasicos giocati dal giovane galiziano.

 

I due, ufficialmente, si odano. Quantomeno devono farlo, ma segretamente si stimano a vicenda. Dopo qualche decennio, prima della morte del grande Alfredo, sarà la stessa bandiera del Real a dire di esser stato invidioso di Suarez. Perché Luisito ha giocato due mondiali con la maglia della nazionale spagnola, e ha vinto pure l’Europeo del 1964, cosa che Di Stefano, per una serie di motivazioni diverse, non ha mai potuto fare.

IL MAGO

A sinistra un 22enne Suarez, accanto a Herrera, a destra Evaristo.

 

Dicevamo del ’57, la svolta. Il Barcellona è in semifinale di Coppa delle Fiere, guidato da Balmanya. Improvvisamente dalla 29°giornata di campionato arriva un burbero argentino, Helenio Herrera, che guida la squadra in finale di Coppa, e porta il primo trofeo internazionale nella bacheca del Barça. Herrera ha idee nuove, dispotiche, soprattutto nella gestione dello spogliatoio.

Non sopporta la prime donne, e Kubala, pur essendo il più forte,  è troppo egocentrico, così comincia a litigarci, e nel frattempo individua in Suarez il suo uomo. Una scelta che avrà grande successo, dopo le prime critiche infatti il Barcellona vince due campionati di fila, e arriva in finale di Coppa dei Campioni nel 1961, dopo aver eliminato i grandi rivali del Real Madrid. Solo il Benfica fermerà i blaugrana, nel frattempo nel 1960 Luis Suarez, dopo aver segnato 53 reti con la maglia del Barcellona in 6 stagioni, riceve il riconoscimento più grande per un singolo: il Pallone d’Oro. 

luis suarez pallone d'oro

Il secondo ed ultimo spagnolo, ad oggi, ad aver vinto il prestigioso trofeo, sempre se considerate Alfredo Di Stefano uno spagnolo, in caso contrario, Suarez è l’unico spagnolo ad aver vinto il Pallone d’Oro.

 

L’ARRIVO IN ITALIA

Herrera lascia la Spagna, e viene assunto da Angelo Moratti all’Inter. Anche qui entra in collisione con la stella della squadra, Angelillo, che viene ceduto alla Roma nel 1961. Lo stravagante allenatore argentino consiglia al patron di reinvestire la cifra ricevuta dalla cessione per comprare proprio Luisito Suarez. Quando il messaggero nerazzurro, andato in visita a Barcellona, rivelò a Mirò, presidente del Barça, il vero motivo della visita, quest’ultimo mandò a quel paese l’emissario, pronunciando una frase storica: “No hay dinero para buscar a Suarez !”.

 

Il dinero Moratti lo aveva, ed eccome. Sborsò quasi 250 milioni di lire, sconvolgendo il calcio italiano, e permettendo al Barcellona di completare le tribune del Camp Nou. Herrera intuisce anche per Luisito è il momento di cambiar ruolo, non più una mezzala nel classico WM, ma un regista. E che regista.

Suarez segnerà di meno rispetto a Barcellona, ma regalerà assist a valanga. I suoi lanci lunghi sono poesia per gli occhi dei tifosi interisti, perfetti per innescare il Catenaccio del Mago. Vince tre campionati, ma soprattutto due Coppe dei Campioni: è lui l’anima della Grande Inter di Angelo Moratti.

 

Suarez pensa e gioca veloce, è perfetto per Herrera, ma è anche l’uomo spogliatoio più importante. Di particolare rilevanza l’episodio che lo vede protagonista alla vigilia della prima finale di Coppa dei Campioni vinta dall’Inter. I nerazzurri si trovano di fronte il grande Real di Di Stefano, praticamente la Nemesi di Suarez in quegli anni. I compagni del galiziano sono nervosi, impauriti, Mazzola guarda Di Stefano con ammirazione ma anche con terrore: Suarez parla alla squadra, dall’alto della sua esperienza spagnola, e gli spiega che anche loro sono del pianeta Terra. Alla fine vinse l’Inter 3-1.

I successi con l’Inter sono intervallati anche dalla grande vittoria dell’Europeo casalingo con la Spagna. Nel 1964 la nazione iberica non è più in pieno franchismo, i venti del cambiamento stanno soffiando, e l’allenatore della selezione spagnola si permette di lasciar fuori Alfredo Di Stefano. Il popolo madrileno è incredulo, ma alla fine della competizione festeggerà la prima grande coppa vinta dalla Spagna, grazie ad una grande partita contro i campioni in carica dell’URSS.

 

IL LUNGO ADDIO

Dieci anni dopo il 1957, l’anno della svolta, qualcosa si rompe. L’Inter arriva cotta alla fine della stagione, e in una sola settimana perde il primo posto in campionato, e la finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic. Il Catenaccio di Herrera è arrivato al capolinea, Angelo Moratti si stanca, e l’anno dopo vende tutto a Fraizzoli, che smantellerà una rosa. Luisito a sorpresa sarà uno dei prescelti per lasciare l’Inter. Una storia d’amore finita nel peggiore dei modi.

Suarez continua a giocare in Italia, va alla Sampdoria, dove riesce a chiudere in maniera dignitosa la sua carriera, guadagnando addirittura la convocazione per una partita della nazionale contro la Grecia nel 1972, a 37 anni.

Nel 1973 arriva il momento dell’addio. La testa è ancora da calciatore, il pensiero è veloce, ma il fisico non regge più, e il calcio lentamente sta cambiando. Da allenatore la sua carriera sarà di buon livello, vincerà un Europeo under-21 nel 1986, battendo proprio l’Italia in finale ai rigori, e poi tornerà qualche volta all’Inter, per riempire qualche buco, negli anni peggiori, per poi ritirarsi dal calcio in prima persona, e dedicarsi a dei ruoli manageriali.

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