Esclusiva Stadiosport – Enzo Bucchioni: ”Moggi pensò di uccidersi. Il calcio è una grande industria globale. Donnarumma? Spero possa rimanere al Milan. Di Francesco-Roma scelta giusta”

La redazione di Stadiosport ha intervistato in esclusiva Enzo Bucchioni, vicedirettore di Quotidiano Nazionale, marchio globale che comprende “Il Resto del Carlino”, “La Nazione” e “Il Giorno” e autore di libri come “L’uomo del fiume. La mia vita, il mio calcio” e “Un calcio nel cuore“, confessioni di Luciano Moggi dopo Calciopoli.

Molti sono stati i temi trattati, spaziando da Calciopoli alla rinascita della Juventus, parlando degli investitori stranieri nel calcio odierno e del caso Donnarumma, passando per le esigenze di mercato dell’Inter e la scelta di affidare la panchina della Roma a Di Francesco.

Come è nata la sua passione per il giornalismo e come è riuscito ad affermarsi? 

“A 16 anni giocavo, come tutti i ragazzi, a calcio e facevo parte degli allievi della squadra “La Spezia” e c’era un mio parente che lavorava nella redazione della “Nazione” e mi ha chiesto una volta di portare il tabellino della partita, contenente le formazioni, i gol e tutti i dati della partita. Siccome in questi campi di provincia si cominciava a giocare alle 8 e si terminava la sera quando faceva notte, una partita dietro l’altra. La svolta è stata quando una domenica ero stato chiamato in panchina in Prima Categoria perchè mancava gente, ma ho preferito andare a Chiavari in Serie D a scrivere un articolo sempre per questo mio parente. Sono andato a fare la cronaca di questa partita e vedere la mia firma sul giornale di questa cronaca mi è piaciuto, è diventato stimolante. Ho smesso di divertirmi a giocare ed ho tramutato la passione dal calcio giocato al calcio scritto. La prima firma, quella che mi ha emozionato, l’ho messa nel 1972, a 18 anni. Poi dalla redazione hanno visto che avevo qualche qualità e soprattutto molta passione ed ho iniziato a fare anche la cronaca della città, la cronaca nera, facendo poi anche a livello Nazionale casi molto importanti come la Rivolta di Porto Azzurro. La svolta è stata poi nel 1989, quando in previsione dei Mondiali del 90′, l’allora direttore della Nazione, Tino Neirotti, mi portò a Firenze per farmi diventare capo dello sport, infatti da lì ho iniziato a fare lo sport stabilmente.”

Nel 2006 scrisse “Un calcio nel cuore” contenente le confessioni di Luciano Moggi nel post-calciopoli. Crede che il calcio di oggi sia pulito o che ci sia sempre del marcio? 

“Moggi aveva richieste di molti altri colleghi, anche più autorevoli di me all’epoca, ma scelse la collaborazione con me perchè aveva letto il mio libro precedente, L’uomo del fiume” di Serse Cosmi e gli piaceva il mio modo di scrivere.  Io l’ho scritto questo libro perchè la vicenda di Calciopoli non mi ha mai convinto fino in fondo, conoscendo il sistema di potere dell’epoca e i giochi di potere, non mi tornava che fosse uno solo l’artefice di tutto questo. C’erano troppe cose che non tornavano. Poi fui anche accusato di essere un “Moggiano”, ma io non ho mai avuto nè padrini nè padroni, mi vanto di essere un cane sciolto e ho fatto questa inchiesta solamente per amore del giornalismo. Enzo Biagio ha raccolto le confessioni di Tommaso Buscetta, questo non vuol dire che Biagi era un mafioso, come io non sono connivente con Moggi. Un’anno dopo venne fuori la verità, che non era solamente coinvolta la Juventus, e la mia inchiesta ha avuto parecchi riscontri. Per quanto riguarda la situazione oggi penso sia diversa. Prima c’era lo stesso gruppo di potere da 30 anni, adesso c’è un sistema diverso e gli arbitri sono più protetti da una persona come Nicchi, che non è mai andato a braccetto col potere e con i potenti”.

Quale fu la confessione di Moggi che più la sorprese? 

“Io sinceramente mi aspettavo di più da Luciano quando c’era da fare questo libro, non tanto su Calciopoli, ma quanto sulla sua vita, sui suoi segreti. Io credo che molte cose non le abbia dette, forse lo farà alla fine della sua carriera, perchè probabilmente all’epoca Moggi pensava di poter rientrare nel calcio. Sarebbe stato curioso e interessante fargli raccontare tutti gli incroci, gli aneddoti con i giocatori e non lo ha fatto. Per quanto riguarda ciò che mi ha più sconvolto è il fatto che lui mi abbia detto di aver pensato di uccidersi nei giorni immediatamente dopo lo chock di Calciopoli”. 

Nel 2012, nel contesto degli screzi di mercato tra Juventus e Fiorentina per il caso Berbatov, lei paragonò la vicenda a quella che portò al trasferimento di Cannavaro da Inter a Juventus. Al signor Moggi questa analogia non piacque e definì Enzo Bucchioni come “quel giornalista che scrisse il libro con l’enfasi di chi aveva capito, ma che in realtà aveva il solo scopo di scrivere un libro su Calciopoli e scroccare pranzi e cene”.
Ha mai avuto un chiarimento con Moggi? 

“Intanto la vicenda Cannavaro non c’entrava nulla con Calciopoli, lui quella ferita l’ha avuta sempre aperta. Guarda cosa ha detto Lotito sulla Juventus (caso Keita). Io feci quel parallelo, che non ha nulla a che vedere con Calciopoli, per rimarcare un modo di fare che non è corretto, lui ha avuto questa reazione perchè forse pensava che, avendo scritto il libro con lui, fossi diventato un suddito di Moggi. Poi in quanto a pranzi e cene scroccate, si andava a casa sua per scrivere il libro, dove c’era la moglie gentilissima che preparava la cena. Ma io non mi sono mai presentato a mani vuote, andavo sempre con Wisky, Rum, sigari, una volta anche con una Magnum di Champagne. Non ho mai scroccato pranzi, casomai è stato lui che mi ha invitato. Recentemente ci siamo visti, ognuno con il rispetto della persona, ma io rimango delle mie opinioni. Forse non hanno capito chi sono io. Adesso ad esempio c’è un grande freddo tra me e la Fiorentina, perchè quando la Fiorentina andava bene ho scritto che andava bene ed adesso che ha fatto un anno disastroso, ho scritto che le cose vanno male. Mi hanno chiamato per chiedermi: “Ma non eravamo amici?” Certo che siamo amici, andiamo a prendere il caffè quando vogliamo, ma quando scrivo non mi faccio condizionare dalle amicizie o dalla simpatia, verrei meno a quello che è il mio mestiere”. 

Secondo lei quale è stata la mossa vincente della Juventus per tornare in alto dopo Calciopoli? 

“La mossa vincente è stata rimboccarsi le maniche, buttarsi tutto dietro le spalle, creare un nuovo management e partire da zero con grande umiltà. E’ come se la storia non esistesse più e si è ricominciato da capo, poi è stata riallacciata la storia con gente come Nedved e Agnelli, che conosceva fin da ragazzino tutti i meccanismi della juventinità. L’appartenenza e l’umiltà hanno fatto sì che la Juventus realizzasse questo miracolo del lavoro, della lungimiranza, della programmazione, della determinazione. Peraltro iniziò tutto da Moggi e Giraudo, perchè con la storia dello stadio avevano capito che questo sarebbe stato il futuro del calcio, trovare risorse in altri modi”. 

Cosa ne pensa degli investitori esteri nel calcio italiano? Pensa che possano risollevare e rilanciare l’immagine della Serie A nel Mondo, o che in qualche modo possano invece portare al collasso l’economia italiana? 

“Il calcio oggi non è più solamente un gioco, ma è una grande industria globale che muove milioni e milioni di euro e non può essere estraneo ai meccanismi di tutte le altre industrie come la moda, l’automobilismo e tutte quelle industrie che la globalizzazione ha trasformato da entità nazionali a entità mondiali. Il calcio essendo un business lo fa chi ha i soldi. Una volta l’Europa era il continente trainante, adesso non lo siamo più ed è giusto che chi ha i soldi da investire lo faccia. Credo che tengano comunque alto il brand dell’Italia perchè adesso non ci sono più grandi famiglie come Berlusconi, Moratti, gli Agnelli al suo tempo, il presidente della Roma Viola o dopo di lui Sensi, che si è svenato per mantenere la squadra. Abbiamo visto in questi anni cosa sono diventati il Milan e l’Inter, scomparse dai radar del calcio che conta. Allora cosa vogliamo fare? Rimanere così e arretrare ancora o provare a tornare grandi?”

Ritiene che alla fine Donnarumma rimarrà al Milan, oppure si arriverà ad una dolorosa cessione?

“Io spero che il ragazzo, che poi è ancora un bambino, che trovi un accordo per rimanere al Milan almeno fino a 22 anni, per poi decidere autonomamente del suo futuro. Il Milan ha già fatto uno sforzo enorme ed io sto dalla parte dell’interesse del bambino. Io spererei per lui, per la sua carriera, per la sua crescita, non solo come calciatore ma anche come uomo, che rimarrà al Milan”. 

Rimanendo in tema di portieri, secondo lei Szczesny ha fatto la scelta giusta ad andare alla Juventus, dove ancora giocherà Buffon, e fare dunque almeno un anno da riserva nella stagione che porterà ai Mondiali?

“Si, ha fatto bene perchè i treni vanno presi quando passano. Ha sbagliato Neto 3 anni fa ad andare alla Juventus, con Buffon nel pieno della sua attività, è stata una scelta assurda perchè con il cartellino in mano poteva andare dove voleva. Szczesny invece ha fatto bene,  lui può crescere tanto anche stando dietro ad uno straordinario atleta come Buffon, poi il futuro sarà il suo”. 

Chi crede possa essere il primo grande acquisto dell’Inter?

“L’Inter, contrariamente al Milan, non ha l’esigenza di rifare la squadra, ma deve solo ritoccarla e deve quindi aspettare l’incastro giusto. Secondo me serve innanzitutto un regista che dia i tempi, poi servono difensori (centrali ed esterni) e un vice-Icardi. Servono 3-4 giocatori e ci vuole tempo per trovarli”. 

Secondo lei la Roma ha fatto la scelta giusta ad affidare la panchina ad Eusebio Di Francesco?

“Di Francesco ha dimostrato di essere un ottimo allenatore al Sassuolo, un ambiente dove non ha molte pressioni. La Roma lo ha scelto perchè credo che dal punto di vista economico non è in un momento favorevolissimo. Quindi hanno preso un allenatore intermedio, se avessero preso un “top” avrebbe chiesto investimenti che la Roma in questo momento non può permettersi. Anche se cercano di mascherarlo i problemi economici ci sono e bisognerà vendere per ripianare, puntando sui giovani e mantenendo qualche big già in rosa. Nonostante Monchi dice che la Roma non è un supermercato, si dovrà vendere e penso che possa partire Salah. Quando ci sarà lo stadio cambierà la storia e potrà aumentare il fatturato, ma questi 2-3 anni saranno di transizione ed un allenatore giovane mi sembra la scelta giusta”. 
 

Gabriele Arcifera © Stadio Sport

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