Dennis Bergkamp, l’olandese non-volante che ha fatto sognare l’Arsenal

Amsterdam, 24 aprile 1968. Wim Bergkamp è davanti al suo vecchio televisore, è un appassionato di calcio, e sta aspettando il segnale dal vecchio Old Trafford, dove il Manchester United di George Best gioca la semifinale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid di Gento. Tutti gli occhi dell’olandese però non sono sulla stella della squadra di Busby, ma per il ragazzo con la maglia numero 11: Denis Law. Law aveva già vinto il Pallone d’Oro nel 1964, è un attaccante prolifico, che da qualche anno vive all’ombra di Best, ma Wim ne è così innamorato che ha già deciso: il quarto genito, che nascerà di lì a breve, si chiamerà proprio come lui. Qualcuno gli fa notare che in Olanda “Denis” è molto simile a “Denise”, un nome femminile, così il 10 maggio 1969 la famiglia Bergkamp festeggia la nascita del nuovo arrivato: Dennis

 

LA KADE

L’infanzia calcistica di Dennis non è semplice, è un ragazzo molto introverso, che cresce sotto le ali protettive dei suoi 3 fratelli maggiori, ed ama solo il calcio. I Bergkamp vivono a James Rosskade, ad Amsterdam West, a pochi chilometri da dove nasceva il De Meer, mitico stadio dell’Ajax. Arrivato all’età di 12 anni è proprio il club per il quale i fratelli Bergkamp fanno il tifo a chiamare Dennis, ma stranamente il padre si oppone, ha paura che la competitività della squadra più gloriosa d’Olanda possa distruggere il figlio, che però alla fine va.

Nelle giovanili dell’Ajax è semplicemente di un’altra categoria, e manca poco prima che il manager dei lancieri di allora, il grande Johan Cruijff, lo noti. Il profeta è convinto che quel ragazzo abbia qualcosa in più, così lo convoca per la prima volta in prima squadra nel 1986, lo mette in panchina con il preciso intento di utilizzarlo a partita in corso. Si gioca Ajax-Roda JC, Bergkamp è a un passo dal realizzare il suo sogno, e capisce che è il momento giusto quando Cruijff gli si avvicina, e lo saluta: “È bello vederti qui“. Il ragazzo della Kade entra, e gioca in maniera perfetta. 

 bergkamp

 

L’esordio comunque non spiana la strada del successo, almeno non immediatamente. Dennis si toglierà la soddisfazione di giocare più di mezz’ora nella finale di Coppa delle Coppe 1987, vinta dall’Ajax contro la Lokomotive Lipsia, ed entrerà in piante stabile nella squadra negli anni dopo, collezionando tante soddisfazioni. Nei primi periodi è schierato come seconda punta, e lì si notano le sue potenzialità maggiori, ma gli allenatori nel post-Cruijff sono convinti che sia un’ala. Nel 1991 scoppia definitivamente, con l’arrivo di Van Gaal che lo rimette dietro la punta, a fare lo shadow striker

Nel 1992 l’Ajax vince la Coppa UEFA, trascinato da Bergkamp, nonostante l’olandese non possa partecipare alla finale di ritorno per una febbre tremenda. Ma è nel cuore dell’estate 1993 che maturano i tempi per la svolta. Dennis è convinto che sia ora di andar via, Van Gaal lo capisce, e lo incolpa della tremenda stagione che i lancieri attraversano, nel frattempo però ha valutato i pro e i contro delle sue prossime destinazioni. Il Barcellona lo vorrebbe, ma l’allenatore è Crujff, e lui non vuole passare per il pupillo raccomandato, in Italia lo chiamano Juve, Milan ed Inter. Il Milan è escluso, perché lì sarebbe solo l’ennesimo olandese, e alla fine Dennis va all’Inter.

 

IL FANTASMA OLANDESE

bergkamp inter

 

L’Inter acquista Bergkamp e Jonk per 28 miliardi di lire. Tutte le attenzioni sono però su di lui, più che sull’altro olandese, con la sua tecnica può riportare l’Inter alla vittoria del titolo dopo 4 stagioni, ma le sue prime prestazioni sono più che deludenti. Ogni volta che scende il campo sembra il fantasma di se stesso, soprattutto in campionato dove trova difficoltà contro le difese italiane dei primi anni ’90. Qualche anno dopo racconterà dell’esperienza a Milano come qualcosa di educativo a livello tattico, ma parlerà con disprezzo della mentalità del campionato: “All’Ajax giocavi tranquillo, sapevi che potevi avere quattro o cinque chance a partita per segnare, in Italia è già tanto averne una, e poi non posso accettare che si festeggi anche per un pareggio. Io voglio vincere“.

Se si parla di vittorie, però, non c’è da lamentarsi. Nel 1994 l’Inter alzerà la Coppa Uefa al cielo, con Bergkamp protagonista assoluto, e capocannoniere della manifestazione con 8 reti. La stagione dopo, però, sarà un vero e proprio inferno. Ottavio Bianchi proprio non lo vede, l’Inter continua ad andare male, un paese intero lo ridicolizza. Viene preso per bidone, viene preso in giro per il modo di parlare e per il cattivo italiano (memorabile una puntata di Mai dire Gol dedicata alle sue gaffe) e anche per la sua paura degli aerei. Quando era solo un adolescente, infatti, aveva subito un trauma su un volo che sorvolava l’Etna, che per poco non si schiantò, un trauma riacutizzato da uno stupido scherzo di un giornalista sul volo che da Amsterdam portava la nazionale olandese in America, per i Mondiali estivi.

ALLA CORTE DELLA REGINA

Da Milano a Londra, però, si può andare tranquillamente in auto. Un viaggio un po’ lungo, ma ne vale veramente la pena. L’Inter si libera di Bergkamp per quasi 20 miliardi di lire, e la stampa italiana parla di una cessione capolavoro. Nel frattempo, però, Bruce Rioch, manager dell’Arsenal, se la ride.

20 giugno 1995. L’inizio di una grande storia.

 

Il Bergkamp che approda in Inghilterra sembra quasi liberato, ma si è anche evoluto. Caratterialmente non è più solo un uomo di ghiaccio, è un leader tecnico. Quando lo vedi giocare ti sembra quasi di sentire sempre musica classica in sottofondo. È così elegante da fare impressione, preferisce sempre il passaggio più spettacolare a quello più semplice, se ha la porta davanti a sé, e 3 avversari, deve saltarli tutti per tirare, per non parlare dei tiri al volo. Tira quasi meglio quando la palla è in aria che quando è per terra.
È olandese, ma sembra argentino, gioca seguendo una musica tutta sua, composta fra le vie della meravigliosa e rivoluzionaria Amsterdam e quelle della rigida, disordinata, efficace​, Londra.

Non lascerà più la capitale inglese, diventerà una colonna portante dell’Arsenal più bello e glorioso di tutti i tempi, tanto da meritare una statua all’esterno dell’Emirated Stadium. Nella stagione 1997-98 vince la sua prima Premier sotto la guida di Arsene Wenger, confezionando un double con la vittoria della Fa Cup, e replicherà lo stesso, nella stagione 2001-02.

C’è però un gol che lo simboleggia più di tutti, il più iconico, probabilmente uno dei più belli della storia del calcio. Si gioca a Newcastle, l’Arsenal si gioca il titolo, la squadra di casa è forte e rognosa. La palla arriva dalle parti dell’olandese grazie a Pires, Bergkamp è di spalle, tocca la sfera in maniera dolcissima con il piede sinistro, la manda alla destra dell’avversario e quasi come la lancetta di un orologio gira con il corpo verso destra con una velocità impressionante. Il povero difensore non sa che fare, Bergkamp usa anche il corpo per prendere posizione e nel frattempo con un piatto preciso infila il portiere. Ha toccato la palla due volte, con entrambi i piedi, e ci ha regalato una delle magie più impressionanti della storia del calcio.

 

Il sodalizio con Thierry Henry, arrivato nel 1999 dalla Juventus, lo rende ancora più devastante, così i due, accompagnati da una squadra incredibile, regalano ai tifosi dell’Arsenal la eterna squadra degli Invincibles. Nel 2003-04 la squadra di Wenger non perde neanche una gara e si laurea Campione d’Inghilterra, una cavalcata impressionante che tutti i tifosi dell’Arsenal ancora sognano, anche perché sarà l’ultimo campionato vinto (finora) dai Gunners.

Come giocava quell’Arsenal?

 

PARIGI E L’ADDIO

In 423 partite con la maglia dei Gunners ha realizzato 120 reti, nell’ultima stagione però il suo score scende a 3 gol. L’unico che realizza in Champions League, nella gara contro il Thun, è decisivo per la vittoria finale nella prima sfida dei gironi, ma nel 2005-06 perderà il posto di titolare. L’Arsenal arriva molto vicino a chiudere nella maniera più memorabile un ciclo che comunque memorabile lo sarà lo stesso, quando, dopo aver affrontato e battuto Juventus, Real Madrid e Villarreal approda alla finale di Parigi contro il Barcellona di Ronaldinho ed Eto’o. Ancora una volta, l’olandese non volante assisterà alla gara dalla panchina, senza prenderne parte. Un rammarico che probabilmente ancora porta dentro, visto soprattutto il risultato finale, che vide l’Arsenal perdere contro i catalani.

Il 15 aprile, poco prima della finale, l’Arsenal aveva organizzato un match per salutare per l’ultima volta il campione olandese, contro il WBA, e manco a dirlo, sarà in quella gara che il fuoriclasse di ghiaccio realizzerà l’ultima rete della sua carriera. Una carriera non colma di successi, ma intensa, vissuta sostanzialmente attorno a 3 città, con due in particolare che di sicuro Dennis non dimenticherà mai, e un’altra, che seppur con i suoi grossi difetti l’ha formato come persona e come calciatore.

https://youtu.be/8tti0waIubo?t=1361

 

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